sabato 22 febbraio 2020

ORIGINE. Proviene dal tardo latino Locus Rotundus, luogo rotondo. Locorotondo è un caratteristico borgo pugliese dalla pianta circolare. Infatti, già nella prima metà del XIII secolo, in ragione del suo accrescersi alla sommità di un COLLE racchiuso nella sua CINTA MURARIA, il borgo assume quella forma circolare che gli ha dato il nome e che appare anche nella cartografia dei secoli successivi.

IX-IV sec. a.C., numerosi reperti archeologici fanno pensare a una frequentazione antica del sito, sia collinare sia di fondovalle, ma non è provata l’ORIGINE GRECA.

Sulle REMOTE ORIGINI di questa cittadina due studiosi locali, Padre Serafino Tamborrini di Ostuni (1784 - 1869) e il medico locorotondese Angelo Convertini (1771 - 1831), ci hanno tramandato delle ricostruzioni storiche troppo spesso condite di MITOLOGIA.
Entrambi fanno risalire la fondazione parecchi secoli prima di Cristo, ad opera di una COLONIA DI GRECI LOCRESI:
-il primo basandosi sulla corrispondenza tra le parole Locorotondo e Locros-Tonos, ovvero forti locresi, afferma che un gruppo di questi, reduci dalla guerra di Troia, si sia qui stabilito dopo essere approdato sulle coste pugliesi a causa di un naufragio;
-l'altro chiama in causa Periandro Locrese fondatore appunto della città di Locreuse, ossia Locorotondo.
Al di là di queste ipotesi fantasiose, col tempo si è venute dimostrando che il sito ove ora sorge la cittadina ha effettivamente avuto una frequentazione umana antichissima.
Nel 1840 furono rinvenute numerose TOMBE durante i lavori di scasso per l'impianto di un vigneto, a poche centinaia di metri dall'abitato, in direzione dell'attuale strada per Martina, Franca. Recenti raccolte di reperti di superficie (frammenti, ceramiche, utensili e monete) databili dal III millennio al VII secolo a.C., in contrada Grofoleo, nonchè il rinvenimento ne 1989 nella stessa area, di resti crollati di parti strutturali in pietra, mattoni e tegole assieme a tre rudimentali bothroi (fosse votive a forma di ellissi, fatte di pietra conficcate ne terreno) hanno fornito una serie di preziosi dati, su cui gli studiosi hanno potuto formulare delle prime IPOTESI:  dopo sporadiche presenze umane non stazionarie, legate alla caccia e alla pastorizia, tra il IX e il VII secolo a.C. si sono formati PICCOLI AGGLOMERATI pedemontani per la conduzione agricola del sito ed un centro più importante arroccato sulla collina.
Così conformato l'insediamento deve aver mantenuto poi una certa importanza legata al fatto di trovarsi al crocevia a due antiche arterie fondamentali durante la COLONIZZAZIONE ROMANA: una, partendo dal brindisino, andava ad innestarsi sulla via Appia presso Altamura, e l'altra dalla costa ionica portava a quella opposta dell'Adriatico. 
INSEDIAMENTO ARCHEOLOGICO DI GROFOLEO: E’ l’unico sito archeologico scoperto in Valle d’Itria. Si estende in contrada Grofoleo, a circa 100 m. a sud del centro storico di Locorotondo a ridosso della statale per Martina Franca. Occupa una superficie di circa 8000 mq che in buona parte ricade nella proprietà dell’agriturismo Grofoleo. Il sito è stato scoperto casualmente in seguito ai lavori di scasso del terreno per l’impianto di un vigneto e da allora la ricerca si è estesa anche nei terreni confinanti fino ad arrivare a Serra dei Tordi e Serra Pizzuto.
Fra i rinvenimenti di notevole interesse vi è un paretone lungo circa 20 m e profondo 3 m alla base, forse faceva parte di un antico muraglione difensivo.

Le altre testimonianze archeologiche rinvenute in questa zona attestano che il sito ha subito una frequentazione umana, temporanea e non stanziale, già a partire dal periodo paleolitico e mesolitico.

Prevalentemente sono frammenti ceramici attribuibili allo stile Diana-Bellavista (prima metà del III millennio a.C.). Altri reperti risalgono all’età dei metalli, comprovando un continuo affollamento dell’area in questione.
Sono state riscontrante anche schegge della ceramica iapigia protogeometrica e geometrica (dal XI-X secolo al VIII secolo a.C.) e precisamente di matrice messapica e peuceta.
L’area ha avuto anche contatti con la Magna Grecia. Lo conferma il rinvenimento presso la masseria Aprile di una moneta di Thurium, ricca città della Magna Grecia.
La ricchezza e la varietà dei reperti scoperti in contrada Grofoleo dimostrano chiaramente che l’area era un punto nevralgico di passaggio obbligato fra gli insediamenti della costa ionica e quelli della costa adriatica che qui hanno lasciato la loro impronta.
Un numero consistente di reperti archeologici sono visibili presso il centro di documentazione archeologica allestito nella biblioteca comunale.


DOMINAZIONI:
-Dobbiamo arrivare fino al XII secolo (1195), in piena DOMINAZIONE SVEVA, per trovare il primo documento in cui si fa espressa menzione del luogo detto ROTONDO e della sua chiesa di San Giorgio, una sorta di agglomerato rurale, feudo del monastero benedettino di Santo Stefano tuttora esistente sulla costa presso Monopoli. Tuttavia la formazione del feudo, e quindi dell'abitato di Locorotondo, potrebbe intendersi essere avvenuto verso gli ultimi decenni dell'anno 1000, in concomitanza con la nascita del suddetto monastero voluto da Goffredo I, conte di Conversano. -Verso la metà del 200 l'originario feudo crebbe gradualmente fino a diventare un vero e proprio CASALE, che rimase sottomesso alla giurisdizione del monastero di Santo Stefano fino al 1385. Durante quegli anni Locorotondo venne coinvolta nelle turbolente vicende che compromisero la stabilità del monastero entrato in lite col confinante PRINCIPATO DI TARANTO, il quale spingeva gli abitanti dei casali ad affrancarsi dalle dipendenze dei monaci.
-Nel 1314 i Benedettini alla guida di Santo Stefano furono rimpiazzati dai CAVALIERI GEROSOLOMITANI che adattarono quella sede a vero e proprio fortilizio.
-Verso la metà del `300 Locorotondo insieme ad altri casali di Santo Stefano, venne occupata da Gualtieri VI di Brienne (genero di FILIPPO I D’ANGIO’), duca di Atene.
Riottenuto il feudo locorotondese nel 1358 i GEROSOLOMITANI lo tennero fino al 1385 circa.
XV sec., il possesso feudale passa dai MONACI ai BARONI:
Dalla fine del `300 a gran parte del '400 Locorotondo divenne possedimento di una delle più grandi famiglie dell'epoca nel meridione, i DEL BALZO ORSINI, il cui dominio su di esso si arrestò con Aghelherto, coinvolto nella cosiddetta congiura dei baroni (1486) tramata ai danni della corte Aragonese.
-In tale occasione, in seguito ad una ridistribuzione dei feudi, il paese fu donato a PIRRO LOFFREDO, di un'altra potente e nobile famiglia napoletana.
Dopo pochi anni (nel 1499) passò ai CARAFA; fu in questo periodo che probabilmente vennero eretti le mura e il castello, rimasti intatti fino alla metà dell'800.
- XVI-XVIII sec., benché dotato di autonomia municipale, il paese continua a soffrire la presenza di FEUDATARI, di provenienza NAPOLETANA o SPAGNOLA (Figueroa, Borrassa, Caracciolo), che si succedono per altri tre secoli.
Ma nel 1530 ai Carafa, infedeli agli aragonesi, successero nuovamente i LOFFREDO. Questi governarono solo su metà del paese; l'altra metà fu tenuta prima dai FIGUEROA e quindi dai BORRASSA, i quali nel 1604 comprarono anche la restante parte.
-Nel corso del `500 il paese conobbe un certo sviluppo: la popolazione subì un notevole incremento; nel 1566 l'UNIVERSITA’ (l'autorità municipale di allora) riscattò dalla Regia Corte le TERRE CIRCOSTANTI, da cui si sarebbe poi originato il territorio demaniale; sorsero NUOVE CHIESE (San Rocco, Madonna della Catena), altre (San Giorgio, Madonna della Greca) furono ampliate ed arricchite; nel 1560 venne eretto un Ospedale-ospizio presso la Chiesa Madre, mentre uno già esisteva accanto alla chiesa di Santa Maria dei Martiri, fuori le mura; nel 1587 il medico locorotondese Antonio Bruno diede alle stampe, in Napoli, un'opera filosofica sulla immortalità dell'anima.
-Nel 1645 i Borrassa, che erano stati sicuramente i peggiori tra i baroni di Locorotondo, furono costretti a vendere il feudo, per debiti contratti con l'Ospedale e Banco della SS. Annunziata in Napoli, ai DUCHI CARACCIOLO di Martina Franca, cui rimase fino all'inizio dell'800. Nel corso del -Nel1799, seppur per pochi giorni, Locorotondo venne coinvolta, come gran parte dei comuni vicini, nel moto rivoluzionario che investì il meridione (all’indomani della Rivoluzione Napoletana) in seguito alla proclamazione della REPUBBLICA ROMANA (1798) e di quella PARTENOPEA (1799).

BORGO STORICO non ci sono particolari emergenze architettoniche, ma tutto è grazioso e intimo, e un senso di ordine, di rispetto, di matura civiltà contorna i piccoli scrigni di fede e arte. Dalla piazza Vittorio Emanuele, dove due grandi pilastri ottocenteschi individuano l’antica Porta Napoli, si snoda il percorso lungo il quale si trovano il palazzetto del Comune ora biblioteca Comunale (fine Settecento), il barocco palazzo Morelli, con lo splendido portale e i balconcini con ringhiere in ferro battuto a petto d’oca e, più avanti, la chiesa Madre.
Noto per le “cummerse”, tipiche abitazioni dal tetto spiovente, rivestito di lastre calcaree dette chiancarelle.

PORTALI PALAZZI SIGNORILI: Percorrendo le stradine lastricate del bellissimo borgo antico di Locorotondo si potranno ammirare diversi palazzotti signorili con portali, fregi e iscrizioni latine che sembrano rivolgersi come invito esplicito al viandante. All’ombra della torre civica si apre via Morelli, che oltre al magnifico palazzo Morelli mostra altri eleganti portali non solo barocchi ma anche rinascimentali. Infatti in fondo a via Morelli, sotto gli archi rampanti, ad angolo si aprono una finestra del Cinquecento e un portale del Settecento (via Morelli n. 4 e 6). Sul portale, che incornicia di una ariosa scaletta bianca, si colloca la seguente scritta: <PULSATE ET APERIETUR VOBIS MDCCXVI> (Bussate e vi sarà aperto 1716), e affianco si apre una finestra rinascimentale del 1541. Ritornando indietro, sempre lungo via Morelli si incrocia sotto un arco rampante un delizioso portale con un medaglione policromo del 1867 raffigurante la Madonna con Bambino (via Morelli n. 20). Dall'altra parte di via Morelli, dopo aver superato il palazzo  omonimo della via, si potrà ammirare un portale del 1697 che chiude, quasi fosse una corte, un vicoletto lungo e stretto. Da via Morelli arriviamo in via Giannone, all’incrocio con via Addolorata Vecchia, qui al numero 2 c’è il palazzo Rodio del 1873, dove attualmente ha sede il Centro culturale di Gaetano Pasquale Rodio (botanico di Locorotondo). Proseguendo per via Giannone in direzione della chiesa Matrice di san Giorgio al n. 6 si potrà ammirare un delizioso portale rococò decorato da foglie di acanto. Ad angolo con la chiesa principale, si eleva al n. 1 la cosidetta casa agreste con il tetto a cummerse più imponente del borgo antico. Caratteristica di questo edificio è il cornicione superiore, che si affaccia in piazza Rodio, riproducente episodi di vita agreste. Si tratta di metope in bassorilievo raffigurante una lunga processione di uomini, donne e animali. Il modulo figurativo che si ripete è sempre lo stesso frammezzato da girali e volute. Ritornando verso porta Napoli, percorrendo la strada laterale al palazzo comunale, via Eroi di Dogali, fra i numeri civici 10 e 12, sulla parete emerge una mezza arcata murata con al centro una croce, segno della presenza di un antico luogo di culto. Un volta giunti in piazza Vittorio Emanuele II, sulla destra (via Montanaro n. 1)si staglia su una scaletta un elegante portale del 1764 in stile rococò avvolto da una modanatura mistilinea.

PALAZZO COMUNALE E TORRE CIVICA. Gli ambienti occupati oggi dalla Biblioteca Civica, sovrastati dalla torre, un tempo corrispondevano al Palazzo del Comune. La struttura originaria risale al Settecento e ospitava l'Università, la sede del parlamento locale. In quell'epoca l'edificio fu ampliato occupando interamente la strada. Infatti prima dei lavori la cosiddetta strada Maggiore, che da Porta Napoli conduceva alla Chiesa Madre di San Giorgio era dritta. Perciò il rifacimento del Palazzo del Comune comportò anche un cambiamento della viabilità del borgo.
Nel 1819 ci fu l'elevazione della sola torretta, a filo col prospetto, per collocarvi l'orologio che proveniva dal campanile dell'antica Chiesa Madre. In seguito, nel 1870, quando la costruzione fu rimaneggiata per l'ennesima volta, e si provvide al rinnovo del prospetto, la torretta fu ingentilita ulteriormente, sopraelevando su di essa un'edicoletta circolare con un colonnato tuscanico. Anche questi elementi decorativi, come l'orologio, un tempo erano appartenuti ad uno dei due campanili minori che fiancheggiavano la cupola dell'attuale Chiesa Matrice.

Le stanze del piano terra e primo piano presentano ambienti molto grandi, mentre le stanze dell'ultimo piano con volta a botte a vista furono adibite a celle carcerarie, e ancora si intravedono i segni di questo triste passaggio, sul pavimento.

L'edificio oggi è adibito a biblioteca civica, intitolata ad Antonio Bruno, ed è anche centro di coordinamento delle iniziative culturali.
I piani superiori che ospitavano il carcere oggi custodiscono l'Archivio storico del paese e il Centro di documentazione archeologico di Locorotondo: insediamento Grofoleo, considerato uno degli insediamenti neolitici più interessanti della Puglia.


PIAZZA VITTORIO EMANUELE II, si accede varcando PORTA NAPOLI, Un’elegante piazza ottocentesca nata in seguito ai rifacimenti che Locorotondo subì dopo l’unità d’Italia. Un tempo era detta piazza castello perché la piazza costeggiava l’antico Castello che sorgeva presumibilmente dove attualmente si trova la chiesa dell’Addolorata. Anche se il castello non esiste più in realtà in questa piazza di può osservare sulla destra, appena si varcano le colonne di porta Napoli, un antico caseggiato predisposto alla difesa del piccolo borgo. Infatti nella parte superiore si intravedono alcune feritoie. Ora in questi locali sono stati allestiti gli uffici di accoglienza turistica. Sempre sul lato desto si eleva un imponente palazzotto signorile in stile ottocentesco che nella parte superiore presenta una cornice dipinta con un rosa delicato. Sull’altro lato della piazza si erge il gradioso palazzo, anch’esso dell’Ottocento, Aprile-Ximenes completamente tinteggiato con una tonalità molto accesa del tipico rosso pompeiano. Fra i due palazzi si impianta una storica casa a corte con i tipici tetti a cummerse. Questa casa a corte è chiusa da un’antica struttura muraria in pietra calcarea con un arco ad ogiva i cui conci sono scolpiti con motivi tardo-medievali. Con ogni probabilità questi conci sono materiali di riuso che forse appartenevano all’antica porta Napoli che è stata abbattuta e rifatta nel XIX secolo. Il motivo decorativo di questi conci è molto variegato, si va dai due dragoncelli alati posti alle estremità dell’arco all’effetto a canestrato, a squame o a racemi proposti lungo tutta la curva del portale. Nella parte superiore è stata inserita un’edicoletta con la statua della Madonna. Entrando nella casa a corte, che un tempo sicuramente era munita di un portone di chiusura, si notano subito i due tetti a cummerse che svettano in alto con il loro vertice aguzzo. All’interno dell’ospitale corte si crea un piccolo atrio circondato da scalette e dai singoli ingressi delle abitazioni. Mentre sulla destra una scaletta conduce su un ballatoio parallelo alla cinta muraria esterna, segno evidente che era usato come passerella per la difesa in caso di attacchi.
La piazza ospita negozietti artigianali e ricreativi e sul pavimento spicca lo stemma musivo della città.


PALAZZO MORELLI: Esempio più illustre dell'architettura barocca di Locorotondo, il Palazzo dà il nome alla via in cui è situato. La facciata fu rinnovata nel XVIII sec. sotto la committenza di Rocco Morelli, allora sindaco di Locorotondo, il quale provvide anche all'ampliamento dell'edificio acquistando unità abitative adiacenti.
Tutta la solennità e magnificenza del barocco si manifesta proprio sul portale di ingresso, posto sulla estrema sinistra della facciata. Esso si presenta maestoso e ricco di particolari traendo, sicuramente, spunto dall'architettura civile di Martina Franca. Il portale è contornato da due lesene che puntellano una balconata chiusa da una balaustra a specchiature mistilinee. La modanatura dell'arcata di ingresso è arricchita da volute e foglie di acanto e centralmente, in corrispondenza del concio di chiave, mostra un mascherone apotropaico dal ghigno beffardo e lo stemma nobiliare della famiglia Morelli: un elefante che sorregge una torre. Sul lato destro si aprono tre graziosi balconcini. I primi due hanno un fastigio mistilineo con mensola modellata e ringhiera in ferro battuto spanciato, mentre il terzo è semplicemente chiuso da un parapetto in pietra lavorata.

Da notare che i dettagli lapidei del palazzo presentano alcuni tocchi di rosso pompeiano e infatti non è da escludere che il palazzo sia stato tinteggiato in pieno periodo neoclassico, forse per adeguarsi a palazzo Aprile.

Entrando nell'edificio c'è un piccolo androne con una scaletta che conduce ai piani superiori. Il palazzo, infatti, è dotato di ben tre livelli: un piano seminterrato con volte a botte, un primo piano, quello nobile, che un tempo comunicava con il Palazzo dell'Università, voltato a stella con decori a tempera e stucchi, e l'ultimo piano destinato ai magazzini, più basso con volte a botte.

CHIESA MADRE, dedicata a SAN GIORGIO.
Questo monumentale edificio, dedicato a SAN GIORGIO MARTIRE (Secondo la tradizione il santo liberò il popolo dalla peste), venne eretto fra il 1790 ed il 1825 sulla stessa area dove già si erano succedute altre chiese, sempre sotto lo stesso titolo, di cui una menzionata intorno al 1195 ed un'altra, cinquecentesca, demolita per far posto all'attuale. Ciò che più colpisce dell'edificio è certamente il suo aspetto grandioso: all'esterno la sua figura si eleva al centro ed al di sopra delle case; la facciata di gusto neocinquecentesco, ospita nel timpano una raffigurazione in rilievo di san Giorgio con il drago ed ai due angoli, più in basso, le due statue di san Pietro e san Paolo, scolpiti da un ignoto artista locale di fine `700 su modellini di creta forniti da uno scultore milanese. Sulle lesene della cantonata destra ad angolo con via porta Nuova, si possono osservare alcune piccole croci incise; ciò può essere collegato, probabilmente, alla posa della prima pietra e delle reliquie di san Vittorio e san Ruffino quando si diede inizio ai lavori il 19 luglio del 1790. Sempre all'esterno ai quattro angoli del primo ordine del campanile (alto, da terra, ben 47 metri e mezzo) si possono osservare quattro statue lapidee di figure femminili identificate con le tre Marie e la Veronica, qui collocate dopo lo smembramento del polittico della Pietà esistente nella vecchia Chiesa Madre.
La CUPOLA CENTRALE (alta oltre 35 metri compresa la lanterna), dal profilo piuttosto schiacciato, era un tempo rivestita con tegole in terracotta invetriata a più colori; danneggiata da un fulmine abbattutosi sulla chiesa nel 1841, esse non furono mai più ripristinate, facendo perdere quel contrasto cromatico fra la cupola ed il resto che doveva rivelarsi assai efficace.
La costruzione si articola su di una pianta a croce greca inscritta della quale però si privilegia l'asse longitudinale dell'ingresso mediante un accentuato prolungamento del presbiterio absidato e di poco rialzato sul sottostante Soccorpo. Ad una certa sobrietà neoclassica degli elementi architettonici si accompagna un corredo figurativo rinascimentale e barocco proveniente, in gran parte, dalla precedente chiesa.

Agli eccessi del barocco, in seguito alla consacrazione della chiesa nel 1825 i committenti religiosi decisero di rivolgersi a un pittore classico che fosse stato in grado di ritrarre il vero e il naturale secondo la nuova tendenza neoclassica. E così furono commissionate quattro grandi tele al pittore napoletano Gennaro Maldarelli (1838-41). Egli si era formato presso l’Accademia di Arte Borbonica a Napoli sotto l’egida del maestro Costanzo Angelini e le influenze di Antonio Canova e di Vincenzo Camuccini. Il pittore è attratto dalla nobile semplicità nella composizione e da un contorno piuttosto lineare che sa ben associare  un contrasto cromatico assai uniforme. Questa lezione emerge chiaramente in tutte le quattro tele: l’Assunzione della Vergine, 1838, san Michele Arcangelo, 1839, san Giorgio e l’Ultima cena, entrambe del 1841.

Sulla parete di sinistra, entrando, vediamo aprirsi il cappellone del SS. Sacramento nel quale si conservano due coppie di paraste sulle cui facce sono scolpite, in 42 riquadri, scene dal Vecchio e Nuovo Testamento; queste paraste, insieme all'ormai smembrato polittico della Pietà, ornavano la precedente ed omonima cappella eretta tra il 1591 ed il 1613. Sulla parete dell'absidiola vi è un'Ultima Cena del pittore napoletano Gennaro Maldarelli (del 1841) che ne produsse una pressocchè identica per la Matrice di Mottola (Taranto). Il ricchissimo altare barocco, a commessi marmorei, fu realizzato (assieme a quelli che vedremo più avanti dell'Assunta e del SS. Rosario) nel 1764 nella bottega napoletana del Lamberti.
Ai lati dell'ingresso del suddetto Cappellone vi sono, a sinistra un seicentesco affresco staccato, raffigurante san Donato vescovo, proveniente dalla chiesa inferiore della Madonna della Catena, ed a destra, una settecentesca tela raffigurante Cristo Risorto d'autore ignoto. Accanto troviamo l'altare dell'Assunta, ornato da una tela del Maldarelli del 1838.
La cappella sulla sinistra intitolata al SS. Sacramento, e ospitante la tela dell’Ultima cena del pittore Mandarelli, conserva sui pilastri laterali i pannelli scultorei della cosiddetta Bibbia Pauperum. Questi pannelli fanno parte della scultura rinascimentale, di cui la Puglia conserva a dire il vero poche testimonianze. In realtà prima che la chiesa fosse rifatta nell’Ottocento conservava al suo interno un enorme corredo scultore rinascimentale che poi è andato disperso o collocato altrove. Gli stessi pannelli, attualmente se ne contano 42, ma erano di più, purtroppo molti si sono persi. Questi pannelli furono commissionati dalla confraternita del SS. Sacramento molto probabilmente a maestranze che avevano subito l’influenza artistica di Venezia che nel Cinquecento dominava questi territorio non solo economicamente ma anche culturalmente. I pannelli erano collocati nella precedente cappella del SS. Sacramento ma avevano un’impostazione cronologica e filologica diversa da quella che si riscontra nell’attuale cappella. I temi iconografici si ispirano al Vecchio e al Nuovo Testamento, si va da Elia fugge l’Horeb all’Arca dell’Allenza, dalla creazione di Adamo al peccato originale, dal battesimo alla trasfigurazione di Cristo e via dicendo. I pannelli si susseguono purtroppo senza un ordine cronologico continuato. Da un punto di vista artistico i riquadri sono scolpiti tenendo conto soprattutto della semplificazione e simmetria delle figure che si muovono in maniera armonica nello spazio circostante. Interessante è il concetto del movimento che spicca in alcune formelle, evidenziato da solchi regolari sulla pietra. Questo è il caso di Giona rigettato dal pesce. Un ultimo aspetto riguarda il chiaroscuro evidenziato soprattutto dalle diverse profondità con cui è esercitato l’incisione nella pietra. Un esempio concreto è offerto dalla tecnica di resa dei panneggio reso molto morbido e che lascia intraveder l’anatomia dei corpi.

Appena entrati in Sagrestia, nella stanza a sinistra sono conservate tre antiche tele, databili tra la fine del `600 e l'inizio del `700 d'autore sconosciuto, raffiguranti un Cristo flagellato, il Martirio di san Bartolomeo e L'incredulità di san Tommaso.
Nella nicchia vi è un lavabo barocco in marmo anch'esso superstite dalla precedente chiesa. I busti lignei seicenteschi collocati sopra la porta della Sagrestia raffigurano i santi Vittorio e Ruffino. L'altare maggiore, anch'esso in marmi policromi, è opera dello scultore napoletano Fedele Caggiano del 1861; il grande quadro di San Giorgio, sul fondo dell'abside, sempre del Maldarelli è del 1841. Restando sul presbiterio, nelle due nicchie ai lati dell'altare moderno (tutto il presbiterio è stato modificato negli anni `70) vi sono, in una, la statua lignea di san Giorgio Martire e, nell'altra, una serie di antichi reliquiari. Accanto alla porta d'accesso alla scala del Soccorpo (Cripta) vi è l'altare di san Michele, databile intorno al 1819, con una tela raffigurante la Caduta degli angeli del 1839, sempre del Maldarelli.
Segue lo splendido altare del SS. Rosario del 1764, ove la plastica materia marmorea sale sulla parete come cornice alla grande tela centrale della Madonna del Rosario tra santa Caterina da Siena e san Domenico
(La tela raffigura il momento della donazione della coroncina a san Domenico e santa Caterina da Siena. La Madonna e il bambinello primeggiano centralmente su un trono circondati da angeli svolazzanti) ed a 15 ovali raffiguranti i Misteri opera del 1769 del pittore martinese Francesco De Mauro (Il pittore si formò presso una imprecisata bottega napoletana per poi rientrare nella sua terra natia e soddisfare tutte le committenze, specie quelle religiose. Non a caso è ricordato dagli storici come l’”artista devozionale” per eccellenza, e quindi contrapposto al Carella che prediligeva i soggetti mitologici e arcadici). Prima di uscire, ai lati dell'ingresso centrale troviamo due nicchie contenenti, una il Battistero in marmo policromo dello scultore napoletano Fedele Caggiano, l'altra, un monumento marmoreo intitolato a Vitantonio Montanaro, fondatore della nuova chiesa, eseguito dalla scultore napoletano Pasquale Ricco. Entrambe le opere risalgono alla metà dell'Ottocento.
La serie di tredici quadri, dislocati sulle pareti in alto in vari punti della chiesa, sono del pittore contemporaneo Onofrio Bramante.
L’interno della chiesa di san Giorgio possiede un patrimonio pittorico di notevole rispetto. Prime fra tutte citiamo le tele del pittore ottocentesco napoletano, Gennaro Maldarelli e del pittore martinese, Francesco De Mauro, che operò in pieno periodo barocco.
Proseguiamo in ordine cronologico e partiamo dalla tela del SS. Rosario, che si colloca sullo splendido altare marmoreo policromo di destra. L’opera è firmata da Francesco De Mauro nel 1769 ed è corredata da ben 15 ovali raffiguranti i Misteri del Santo Rosario. Il pittore si formò presso una imprecisata bottega napoletana per poi rientrare nella sua terra natia e soddisfare tutte le committenze, specie quelle religiose. Non a caso è ricordato dagli storici come l’”artista devozionale” per eccellenza, e quindi contrapposto al Carella che prediligeva i soggetti mitologici e arcadici.

La tela raffigura il momento della donazione della coroncina a san Domenico e santa Caterina da Siena. La Madonna e il bambinello primeggiano centralmente su un trono circondati da angeli svolazzanti.
Agli eccessi del barocco, in seguito alla consacrazione della chiesa nel 1825 i committenti religiosi decisero di rivolgersi a un pittore classico che fosse stato in grado di ritrarre il vero e il naturale secondo la nuova tendenza neoclassica. E così furono commissionate quattro grandi tele al pittore napoletano Gennaro Maldarelli. Egli si era formato presso l’Accademia di Arte Borbonica a Napoli sotto l’egida del maestro Costanzo Angelini e le influenze di Antonio Canova e di Vincenzo Camuccini. Il pittore è attratto dalla nobile semplicità nella composizione e da un contorno piuttosto lineare che sa ben associare  un contrasto cromatico assai uniforme. Questa lezione emerge chiaramente in tutte le quattro tele: l’Assunzione della Vergine, 1838, san Michele Arcangelo, 1839, san Giorgio e l’Ultima cena, entrambe del 1841.

Nella CRIPTA si osservano resti di sepolture ottocentesche e un tesoretto di argenti e reliquiari.

CHIESETTE DELL'ANNUNZIATA, accanto alla chiesa Madre si trova l’ottocentesca , sorta su un oratorio del 1633, che conserva all’interno alcune statue di legno e cartapesta. Più rilevante è la chiesa della Madonna della Greca, sulla cui origine non si hanno notizie certe. Il primo documento che la cita risale al 1520, sebbene una serie di elementi architettonici, come la volta a semibotte, facciano pensare a una fondazione più antica (XII-XIII sec.). Ha un impianto a tre navate con le basi e i capitelli delle colonne ornati di motivi medievali. Proviene da un’antica cappella della chiesa Madre il ricco apparato scultoreo in pietra, tra cui spiccano il polittico dell’altare maggiore e il gruppo scultoreo di San Giorgio (1559). 
Venne eretta agli inizi dell'800 sul luogo di un precedente ed omonimo oratorio risalente al 1633. L'attuale edificio ingloba nella parte posteriore del presbiterio un ambiente coperto da una bassa volta a botte, il quale costituisce la parte terranea superstite dell'antico Ospedale costruito verso il 1560.
Il piano sovrastante questa parte era un tempo la vecchia chiesa della Addolorata; successivamente, nel 1872, ospitò il primo asilo infantile del paese. Oggi è sede di mostre e di altre iniziative culturali.
All'interno della chiesa si conservano alcune statue in legno ed in cartapesta; tra le prime, più antiche, ricordiamo quella dell'Annunziata, dell'Addolorata e dei sei Misteri della Passione di Cristo.
A destra della Chiesa Madre, invece, per via Dura e poi per via Aprile ci inoltreremo in quella che è ritenuta la parte più antica dell'abitato, ove i vicoli si incuneano stretti tra le case. Da largo Bellavista, gradita e inaspettata sosta panoramica sulla prospiciente valle d'Itria, attraverso via Garibaldi, incrociamo via Porta Nuova, che prende il nome dell'altro vecchio ingresso al paese, una volta detta di Lecce o di santo Scianno (san Giovanni). Questa strada corrispondeva all'antica via Maggiore che divideva in due il paese. Risalendo da questa ci infileremo nelle anguste via Camerette e via Addolorata Vecchia che girano tutt'intorno al perimetro della Chiesa Madre sbucando infine su via Giannone, da dove proseguiremo a destra per discendere l'ampia scalinata che ci porterà ad incrociare via Cavour. A destra s'impone alla nostra attenzione l'edificio monumentale più importante di Locorotondo: la chiesa della Madonna della Greca.

CHIESA DELL'OSPEDALE, detta comunemente di SANT’ANNA, la cappella si ritiene sia stata edificata nel corso del `500 con il nome di santa Maria dei Martiri. Nonostante la collocazione cronologica finora accettata, è chiara la sua origine più remota. All'interno le volte a crociere ogivali, impostate senza soluzione di continuità su tozzi pilastri, le conferiscono un sapore decisamente medievale. Nella piccola abside è conservato un affresco di Gesù in Trono dagli stilemi tardogotici, mutilo, purtroppo, nella parte superiore perchè in epoca recente, sulla parete soprastante, era stata ricavata una nicchia poi richiusa. Nello stesso punto vi era una tela della Natività della Vergine del pittore martinese Ieronimo de Jesu (metà del `600) scomparsa alla fine del secolo scorso. Allo stesso modo è andato perduto un altro affresco che si trovava sulla parete sinistra. Nel 1880, in seguito all'edificazione dell'Ospedale (1873), la cappella subì profonde modificazioni alla copertura esterna: le originarie e tipiche cummerse incrociate, di cui si vedono i profili, furono sostituite da un terrazzo e l'intero edificio assunse una forma squadrata da cui emergono il campanile e l'abside. In facciata è rimasto l'antico rosone, intagliato nella pietra.
A metà strada del corso XX settembre, sulla destra in piazza A. Moro, sorge in nuovo Palazzo Comunale iniziato nel 1952.
La chiesa di Sant'Anna, comunemente detta chiesa dell'Ospedale, perché a ridosso del nosocomio, sulla via per Fasano, è anche chiamata di Santa Maria dei Martiri. La sua costruzione risale al 1500, più volte rimaneggiata sia internamente che esternamente. Infatti nel 1880 fu costruito affianco l'ospedale che finì con l'aggregare la chiesetta, modificando la copertura esterna. Questa in origine era realizzata secondo il sistema tipico della Valle d'Itria, “a cummerse” incrociate, ossia tetti spioventi ricoperti con piccole pietre (chiancerelle). Come si può constatare dai prospetti, però, questi sono stati elevati in maniera rettilinea. Osservando attentamente la differenza cromatica delle pietre sulla facciata, si riesce ancora a delineare l'antico profilo della chiesetta.
La facciata, liberata dagli intonaci, dopo i recenti restauri, è riaffiorata nel suo antico splendore, contraddistinta dal caldo colore della pietra locale. Il portale è sormontato da un'edicoletta lunettata, da un rosone e da un campanile a vela.

L'interno è rimasto fedele all'antica impronta medievale. Esso è a una sola navata ed è ripartita da archi a sesto acuto. Sulla parte di fondo si apre una piccola abside semicircolare coronata da un arco a tutto sesto e sorretto da due mensole che fungono da capitelli con elementi decorativi geometrici. Le pareti conservano ancora degli affreschi raffiguranti i Santi, la Vergine e un Cristo in trono. Sulla sinistra in fondo, si accede a una piccola sagrestia che un tempo veniva usata come ossario.

Il sagrato che ora ospita una statua di San Pio da Pietralcina sovrasta una grande cisterna che serviva a rifornire di acqua i viandanti che si allontanavano dal borgo antico per spostarsi nelle città limitrofe. Adiacente alla chiesa c'è una struttura che ha svolto la funzione di ospizio e nel quale un tempo alloggiava anche il custode della chiesa.

Originale è la piccola CHIESA di SAN NICOLA (1660) con la sua copertura in chiancarelle, tipica dei trulli. All’interno presenta le volte affrescate e un antico bassorilievo in pietra della Crocifissione. La chiesetta dell’Ospedale, infine, situata fuori del centro storico, viene fatta risalire alla metà del Cinquecento. Ha una graziosa abside impreziosita dai resti di un affresco raffigurante una supplica rivolta al Cristo.

CHIESA DELLO SPIRITO SANTO, stretta tra gli edifici di Corso XX Settembre, la graziosa chiesetta venne edificata, come si legge sul suo ingresso, nel 1683, ad opera dell'arciprete di allora, che la dotava di alcuni beni. Osservando una foto della tipica copertura si vede chiaramente come l'edificio ha subito un lieve ampliamento della parte posteriore, con conseguente arretramento dell'altare, in epoca imprecisata.
All'interno si conserva un'antica tela (ritagliata sicuramente da una originariamente più grande) raffigurante la Discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli di uno sconosciuto pittore tardosecentesco di nome Bruno.
Nella seconda nicchia a destra dell'ingresso vi è la statua lignea, tardosettecentesca, di Sant'Antonio da Padova, proveniente dall'omonimo altare un tempo esistente nella Chiesa della Greca.
Giungiamo così alla sommità del Corso (comunemente detto Stradone) che termina nell'accogliente piazza Dante con a destra la Villa Comunale.
Villa comunale. Intitolata a G. Garibaldi questo piacevole giardino pubblico venne sistemato nel 1860 sulla sommità di una collinetta che anticamente rimaneva appena fuori dalle mura e veniva denominata Mondezzaio dei tre Olmi. Nel 1930 in occasione di alcuni rimaneggiamenti prese il nome di Monte Grappa. Oltre al suo gradevole aspetto il visitatore potrà godere della sua amena posizione, vera terrazza panoramica sulla sottostante Valle d'Itria.
... e sulla sinistra la Chiesa dell'Addolorata.

CHIESA DELL'ADDOLORATA costruita nel 1858 dall'omonima confraternita, formatasi tra la fine del `600 e l'inizio del `700 sotto il titolo della Vergine dei sette dolori. La precedente sede era costituita dall'oratorio che sorgeva, sovrapposto a quello dell'Annunziata, tra le attuali via Giannone (scendendo a sinistra della Chiesa Madre) e quella che, appunto, è denominata via Addolorata vecchia.
Posto proprio a ridosso dell'ingresso da corso XX settembre alla parte vecchia del paese, l'attuale edificio venne eretto sull'area del vecchio castello, abbattuto nel 1855 per iniziativa di un sacerdote, il quale intendeva far sì che il popolo potesse cancellare il ricordo delle numerose ingiustizie e dei delitti perpetrati nei sotterranei del castello, per tutto il periodo in cui Locorotondo fu sottomesso ai duchi Caracciolo di Martina Franca. Dalle poche fonti, scritte ed iconografiche, possiamo tuttavia tentare una ricostruzione del castello: già menzionato all'inizio del 500, era di forma quadrata, con bastioni angolari quadrati. Era armato di ben 13 pezzi di artiglieria ed aveva al centro una torre più alta e sicuramente più antica. E proprio sotto la Sala delle Armi era collocata la cosiddetta fossa di Luogorotondo come veniva chiamata la prigione sotterranea a cui abbiamo accennato.
La chiesa non presenta alcun particolare architettonico significativo. Al suo interno conserva una serie di statue lignee policrome, alcune tardosettecentesche (Addolorata, san Gaetano, Madonna della Croce) provenienti dalla precedente, altre due, nelle nicchie all'ingresso, sono del 1888 e firmate da un artista locale, Antonio Semeraro; tra queste riveste un certo pregio quella di san Antonio Abate. Nella sagrestia è conservata una piccola statua lapidea smaltata, ancora di san Antonio Abate, antica e di ignota provenienza. All'esterno, agli angoli della facciata si osservano due antiche sculture, forse raffiguranti le sibille Delfica ed Eritrea, un tempo esistenti ai piedi del polittico della Pietà nella vecchia Chiesa Madre.

CAPPELLA SANTA MARIA DEL SOCCORSO. Il piccolo edificio eretto verso il 1630 dall'allora barone di Locorotondo Gian Giacomo Borrassa con i fondi che in verità gli erano stati affidati da un privato cittadino, affinchè restaurasse l'omonima e più antica cappella, che esisteva a pochi metri dall'attuale. La sua facciata semplicissima è adorna solo di un portale lunettato, al di sopra del quale vi è ancora un cartiglio con lo stemma dei Borrassa, e dal piccolo campanile a vela. All'interno troviamo una tela grande posta sull'altare, raffigurante La Vergine del Soccorso, fatta eseguire in occasione della nuova edificazione dal barone suddetto, ed una piccola di san Vito, proveniente dalla vecchia chiesa dell'Annunziata.
Più avanti, sulla sinistra, ad angolo con via Morelli, ammiriamo una finestra ed un portale di genuino gusto rinascimentale, che campeggiano sulla bianca facciata di un palazzo signorile costruito nella prima metà del `500. Proseguendo sempre per la stessa via, ad angolo con via Eroi di Dogali incontriamo il settecentesco palazzo Comunale.

CHIESA SAN NICOLA. Eretta negli anni immediatamente precedenti il 1666 per iniziativa di un notabile locorotondese, la chiesetta risulta stretta dalle alte case circostanti che lasciano in vista solo la scarna facciata, della cui originaria forma a capanna con campanile a veletta rimane ben poco. La struttura architettonica del piccolo edificio è assai semplice, ma originale: un'unica aula coperta anteriormente da una volta a botte e, per il resto, da una cupoletta con tamburo su pennacchi. Ad una tale combinazione corrisponde all'esterno l'innesto di un tetto a falde con il cono di un trullo, entrambi embricati con le consuete chiancarelle calcaree, il cui grigrio ben contrasta con il bianco della calce.
All'interno l'interruzione del cornicione sulla prima arcata, la presenza di una lesione in corrispondenza di esso lungo tutta la curvatura della botte ed alcune diversità di esecuzione della muratura, fanno pensare a momenti diversi di edificazione. Il piccolo ambiente sopraelevato, in corrispondenza della seconda arcata destra, era destinato a sagrestia e probabilmente, essendo aperto, fungeva anche da cantorìa. Questo e l'attiguo braccio a destra dell'altare, avevano un tempo una diversa altezza e di conseguenza due tetti distinti all'esterno perpendicolari all'asse della chiesa.
La superficie interna è in gran parte occupata da una ricca decorazione pittorica che segue una precisa divisione tematica: all'imposta della botte troviamo dieci riquadri (cinque per lato) con scene della vita e dei miracoli di san Nicola di Mira e, al di sopra, un teoria di angeli musicanti; sui pennacchi sono rappresentati i quattro Evangelisti, tra cui vale la pena notare il San Luca, pregevole per la inconsueta versione iconografica: questa vuole, infatti, che il santo venga raffigurato mentre ritrae una Madonna con Bambino in quanto risulta l'unico nei Vangeli che si soffermi a parlare di Maria. Ma al di là del fatto allusivo, ciò sembra corrispondere alla tradizione diffusa dai primi cristiani secondo la quale San Luca avrebbe effettivamente dipinto la prima immagine della Madonna, la cosidetta Hodigitria di Costantinopoli, in cui il bambino compariva sul braccio sinistro della Madre, così come nella raffigurazione del nostro pennacchio. Nei quattro scomparti del tamburo trovano posto scene di vita eremitica e, sull'intradosso della cupola, una serie festosa di cherubini ruotanti attorno all'Eterno Padre raffigurato con il classico globo terracqueo ed in atto benedicente. L'unico altare esistente è ornato da una edicola a timpano spezzato, di gusto tardo cinquecentesco, nel cui riquadro sono raffigurati san Nicola e sant'Antonio da Padova in adorazione del SS. Sacramento; la scena è completata in basso da un piccolo angelo che reca tre sfere d'oro, simbolo del santo di Mira. Infine ricordiamo, sempre sulla botte, la piccola balaustra circolare dipinta a trompe-l'oeil, ovvero a visione prospettica, entro cui è posta una colomba. Questa considerevole produzione pittorica può essere datata in parte negli anni immediatamente successivi all'edificazione, in parte (pennacchi, cupola e quadro dell'altare) tra fine `700 ed inizi `800.
Sotto la seconda arcata di sinistra è collocato un basso rilievo in pietra della Crocefissione molto più antico della chiesa (la copertura policroma è più recente), e che mostra di essere stato tagliato in più parti; ciò avvalora una notizia riportata da uno storico dell'Ottocento secondo il quale esso venne ritrovato in una grotta nei dintorni di Locorotondo.
Proseguendo, sbucheremo nella piazza Fra G. Andrea Rodio dominata all'imponente facciata della Chiesa Madre.

CHIESA MADONNA DELLA GRECA. Sull'origine di questo splendido edificio non si hanno notizie certe; il primo riferimento documentario risale ad appena il 1520, mentre è, invece, evidente da una serie di elementi che la sua fondazione sia avvenuta molto tempo prima.
Ha un impianto basilicale a tre navate di cui la centrale, composta da quattro campate, con volte ogivali a crociera costolonata, e le due laterali da mezze botti rampanti ed unghiate. La volta a semibotte è propria delle chiese pugliesi a cupola in asse, che ebbero diffusione nel XII e nel XIII secolo. Tuttavia i due sistemi sono presenti accostati molto raramente, nella chiesa di san Benedetto a Brindisi ed in quella di santa Maria de Colonna a Trani.
I pilastri polistili presentano anch'essi una serie di caratteristiche, oltre alla differenza di altezza e di composizione: le basi sono classicheggianti con ornamenti di protezione in rilievo (fiori, animaletti, conchiglie) negli angoli; i fusti delle semicolonne sono privi di apofige, ovvero di quello sguscio di raccordo alle due estremità; i capitelli sono un compendio di motivi classici, (volute, cornucopie, scanalature) figurine varie (putti, sirene, bifide, corpi d'uccello con volti umani) ed altri elementi del mondo animale e vegetale. Al di sopra essi sono completati da aggettanti cornici intagliate in vario modo. All'esterno, il portale lunettato rinascimentale presenta due capitelli probabilmente di altra provenienza che dimensionalmente mal si combinano con il resto.

La porta a lunetta rialzata, murata sul lato sinistro della chiesa, è chiaramente di tipo medievale. Il suo orientamento collegato alla parete interna messa di fronte ad essa e recante un frammento d'affresco potrebbe far pensare ad un nucleo primitivo più piccolo con asse ruotato di 90 ° rispetto all'attuale. A questa costruzione se ne aggiunse un'altra in un periodo a cavallo tra la fine del `300 e l'inizio del '400 a giudicare dalla prevalenza della maniera costruttiva gotica. Ha una facciata molto semplice, a capanna con spioventi laterali, secondo la tripartizione interna; nei secoli essa ha subito alcune modificazioni come si può osservare in una veduta settecentesca dell'architetto e pittore francese J.L. Desprez, il rosone attuale è opera recente (1981) del maestro locorotondese Domenico Rosato, un leggerissimo traforato realizzato sul modello di quello della cattedrale d'Acquaviva delle Fonti. In alto nella posticcia cornice campeggia un piccolo rilievo di scarso valore; esso ricorda l'affidamento della chiesa alla nascente Confraternita di san Rocco, che nel 1893, convinta di prendersi cura del sacro edificio, l'alterò in più parti. Venne in tale occasione decorato a vari colori l'interno, disfatto il cimitero antistante la chiesa (gran parte dei lastroni tombali sono oggi visibili sul tetto) e distrutto l'antico rosone; le due statue, assai logorate dei santi Pietro e Paolo, all'estremità della facciata, già all'ingresso del suddetto cimitero, provengono da un trittico esistente nell'abside della vecchia Chiesa Madre. Sempre all'esterno uno sguardo alla tipica copertura a cummerse incrociate dalla bella ed articolata disposizione delle lastre calcaree (chiancarelle).
Oltre alla ricchezza di motivi presenti sui capitelli, la chiesa conserva al suo interno una preziosa testimonianza della scultura rinascimentale pervenuta fino a questa estremità della provincia meridionale. Primo fra tutti si impone il Polittico dell'altare centrale intitolato alla Madonna delle Rose (la mensa è posteriore) con le immagini (da sinistra) di santa Lucia, san Pietro, la Madonna con il Bambino. san Paolo e sant'Oronzo (o san Donato). Al di sopra dei bassorilievi dei quattro Evangelisti e, nel timpano, la consueta immagine dell'Eterno Padre benedicente. L'impostazione architettonica è anch'essa molto buona nonostante alcune incongruenze proporzionali o quelle dovute a sicure manomissioni. Accanto a questo sorge sulla destra, nel vano un tempo adibito a coro, il prezioso e splendido bassorilievo della Deposizione nel Sepolcro formante con quattro colonnine dal fusto riccamente decorato con testine di angeli e tralci di vite, un altare composto in epoca moderna. In origine è molto probabile che questa lastra scolpita ornasse il paliotto della mensa originale posta sotto il suddetto polittico.
Nel nicchione posto sud fondo della navata sinistra vi è il gruppo scultoreo di san Giorgio (1559) che insieme a tutto il cassettonato proviene dall'antica e omonima cappella che sorgeva nella vecchia Chiesa Madre. Il gruppo quindi completato da una sottostante mensa in forme barocche, venne qui montato nel 1794. Accanto a questo altare è posta una statua di un notabile personaggio in atto di preghiera, del quale nonostante la dicitura PIRRUS TARENT. PRINC. P.S.D. FF è dubbia l'identità: potrebbe egli essere Pirro del BalzoOrsini, principe di Altamura, ritenuto per tradizione colui che nel 1480 fece costruire la chiesa; oppure Ottaviano Loffredo, barone di Locorotondo verso la metà del '500 e probabile committente del polittico, visto che il piccolo stemma messo al centro del fregio dello stesso è proprio di quella casata.
Sul tratto murario della navata centrale si intrevede ancora un frammento d'affresco, di una Madonna con Bambino, forse fulcro della primitiva costruzione, avanti a cui sempre nel corso del `500 fu eretto un ciborio in pietra formato da un padiglione piramidale su quattro colonnine, delle quali restano alcuni frammenti scanalati ed i quattro accostati al paliotto della Deposizione. Inoltre attorno all'immagine suddetta vi erano a mo' di cornice tredici riquadri a bassorilievo di cui nove sono tuttora collocati sulla parete a sinistra dell'ingresso.
La zona retrostante la parete con affresco, era un tempo completamente chiusa, con accesso dal coro, e serviva da sagrestia; il suo tratto murario esterno, come si vede, è stato ricostruito nel corso di un restauro risalente agli anni `60 quando vennero rimosse alcune superfetazioni. La statua lapidea posta sotto questa arcata è della Madonna delle Grazie e proviene dall'omonima cappella esistente nella distrutta Chiesa Madre.
La piccola acquasantiera a conchiglia posta subito dopo ci ricorda che l'arcata corrispondente era fino a gran parte del '700 un ingresso secondario che dava sul cortile pergolato adiacente la chiesa e comunicante con l'abitazione annessa. La chiesa così com'è oggi appare completamente spoglia di qualsiasi arredo sacro o accessorio; un tempo era ricchissima di ex-voto, di suppellettili sacre, tenuto anche conto che dalla metà del `500 sino alla fine dell'Ottocento tutte le nicchie perimetrali ospitavano ciascuna un altare. La loro distruzione ha significato la perdita delle opere d'arte che l'ornavano.
A sinistra della scalinata di via Giannone, poco più avanti troviamo la chiesa del Protettore del paese: san Rocco.

CHIESA DI SAN ROCCO. La prima menzione che si ha di una chiesa sotto questo titolo e nello stesso luogo ove sorge quella attuale, risale al 1568. Si trattava poco più di una cappella posta fuori delle mura, di circa sette metri per quattro, coperta da una lamia a spiculo, cioè da una volta a crociera e dalle caratteristiche architettoniche locali.
L'introduzione e la diffusione del culto di san Rocco a Locorotondo e la conseguente fondazione di una chiesa in suo onore si vuole siano avvenute in seguito allo scampato pericolo di un contagio da una epidemia di peste scoppiata tra il 1690 ed il 1691 in alcuni paesi costieri poco distanti da qui. Questa ipotesi comporta, però, una discordanza di date visto che una chiesa dedicata al Santo esisteva da almeno un secolo. Secondo una credenza popolare, invece (sopravvissuta nella vicina città di Ceglie Messapica e raccolta dallo studioso Scatigna-Minghetti), pare che tutto ciò sia dovuto all'iniziativa di un devoto locorotondese, il quale avrebbe avuto una visione di san Rocco, presso una cappellina, sulla via del ritorno da un pellegrinaggio che l'uomo aveva compiuto presso la chiesa del Santo in quella città.
Nel 1804 la primitiva chiesa venne demolita per far posto alla nuova, a croce greca cupolata ed absidata, dalle forme più classiche. Dopo circa un settantennio (nel 1872) il nuovo edificio venne alterato con un avanzamento della parte anteriore di pochi metri oltre il filo stradale di via Cavour, allora detta Borgo San Rocco. Ciò, se da un lato procurò un lieve aumento di spazio all'interno e la conseguente possibilità di erigere una cantoria giusto sopra l'ingresso, dall'altro significò la perdita dell'originaria facciata e, con essa, delle quattro statue degli Evangelisti qui collocate dopo lo smembramento del cinquecentesco polittico liteo della Pietà, esistente nella vecchia Chiesa Madre.
Lo storico locorotondese Angelo Convertini (1771-1831), parlando della nuova chiesa di san Rocco, ovviamente prima dell'ampliamento del 1872, la descrive costruita sul modello della Rotonda di Roma (Pantheon).
E' ovvio, che non potendoci essere alcuna similitudine con il celebre edificio a livello planimetrico, lo storico ha sicuramente inteso riferirsi alla veduta frontale dell'edificio che si ha scendendo dall'attuale Corso Umberto I. Di conseguenza possiamo immaginare che la facciata del 1804 fosse caratterizzata da uno schema classico a timpano impostato su un colonnato, il tutto di altezza inferiore all'attuale, in modo da lasciare in vista la retrostante cupola su tamburo.
All'interno sono da vedere: a destra dell'ingresso una tela del 1854 raffigurante san Rocco fra gli appestati, del pittore locorotondese Antonio Vito Semeraro; più avanti, sempre a destra, vi è una tela settecentesca di san Francesco da Paola e di fronte un'immagine di santa Irene sullo sfondo di una città costiera. Ai lati del presbiterio troviamo due statue in pietra smaltata, di fattura settecentesca di sant'Eligio e sant'Oronzo. Nella nicchia sovrastante l'altare è collocata la statua lignea di san Rocco, scolpita a Napoli nel 1792.
Proseguiamo sempre per via Cavour fino al piccolo largo di Bonifacio, dove, a sinistra, si conserva un tratto di strada con antiche case a cummerse che costituivano l'antico borgo sorto lungo la via che uscendo dalle mura conduceva, attraverso largo san Pietro, verso la chiesa della Madonna della Catena.
INTERNO: L’ingresso della chiesa di san Rocco è scandito da un avancorpo che fu aggiunto nel 1872 e che permise di creare in corrispondenza della controffacciata una cantoria evidenziata da un balcone sulla cui balaustra campeggia lo stemma di Locorotondo; la torre. Purtroppo questo ampliamento rivoluzionò completamente la facciata, che prima di allora ospitava le quattro statue degli evangelisti che facevano parte del politico litico cinquecentesco della Pietà conservato nella vecchia chiesa madre.
L’interno si presenta a croce greca sormontata da una cupola decorata da lacunari in stucco bianco e dorato. In questo vano sono presenti diverse opere pittoriche e scultoree. Partendo dal braccio desto, in una nicchia ricavata all’interno della muratura si colloca la statua lignea di sant’Apollonia. Sulla parete sono apposte due tele devozionali. La prima raffigura sant’Irene in volo su una città di mare eaffianco c’è san Francesco da Paola. Non molto distante si incrocia la statua lapidea di sant’Oronzo di manifattura squisitamente settecentesca. Sulla parete del braccio sinistro si colloca la tela di san Rocco fra gli appestati, datata nel 1854 e firmata dal pittore locorotondese Antonio Vito Semeraro. Nella nicchia a muro, quasi ad angolo c’è la statua lapidea di sant’Eligio, anch’essa è datata nel settecento come quella di sant’Oronzo. Un'altra statua, questa volta in cartapesta, di sant'Eligio si trova nel presbiterio, in una nicchia a sinistra.

Nell’abside si apre il presbiterio sul cui altare troneggia la statua in legno vestita di san Rocco, scolpita a Napoli nel 1792, che in occasione della festa patronale viene spostata nella chiesa madre di san Giorgio.



CHIESA MADONNA DELLA CATENA. Una prima chiesa venne costruita, quasi certamente, nel 1597 in seguito alla diffusione di una voce secondo la quale in quel luogo doveva trovarsi l'accesso ad una grotta ove si custodiva un'antichissima raffigurazione della Madonna. Man mano che la notizia richiamava un gran numero di persone, si diffondeva anche la voce di miracoli e di grazie che nel frattempo sembravano avvenire. Il clero del tempo, assecondando la devozione popolare, ordinò uno scavo nel punto indicato in cui venne effettivamente scoperto l'accesso ad una grotta che, però non conteneva alcuna immagine sacra. Nonostante ciò l'affluenza del popolo era tale che alla fine si decise di erigere una vera e propria chiesa, essendo divenuto quel luogo venerabile. Il primitivo edificio, una Cappella grotta, era quasi per intero scavato nella roccia, aveva due altari e vi si accedeva per due scale di una decina di gradini ciascuna. L'unica parte costruita in muratura era costituita dalla volta e dal tetto, che assieme ai due ingressi alle scalinate doveva elevarsi di un paio di metri sul piano stradale di allora (corrispondente all'attuale piazzale sottostante a destra dell'odierna chiesa). Poco tempo dopo la sistemazione della chiesa, nell'anno 1600 venne eretto l'edificio che tuttora esiste e che doveva servire come ospizio ai pellegrini ed abitazione per coloro che si prendevano cura del santuario. Poichè l'altare di quella prima chiesa venne ornato da un quadro raffigurante la Madonna con la catena al collo, da allora essa assunse tale titolo.

A causa dei danni provocati dalla forte umidità, quel quadro fu ben presto sostituito da una nuova e più grande icona raffigurante la Madonna con quattro santi, anch'essa andato perduto. Nel 1790 furono scoperte altre grotte che dalla cappella sotterranea si dipanavano ancor più in profondità e che almeno in parte ancor oggi esistono. Nel 1866 la chiesa divenne proprietà del Demanio; nel 1886, ormai in gran parte crollata venne acquistata da un privato cittadino che a sua volta la cedette nel 1890 ad un sacerdote, il quale si impegnò affinchè la chiesa potesse essere riaperta al culto. Così nel 1897 ad opera della signora Angela Sforza, venne eretto un nuovo santuario, costituito da una nuova cappella-grotta e da una CHIESA SUPERIORE. Quella inferiore, tuttavia inglobò parte dell'ANTICA CHIESETTA, tuttora visibile. In concomitanza con tale rinnovamento venne istituito anche il culto dei SANTI MEDICI COSMA E DAMIANO per i quali oggi la chiesa è anche nota.
La chiesa superiore è composta da un unico grande vano a croce greca, appena leggibile, cupolato ed absidato. Il presbiterio fino a qualche decennio fa era arricchito da un vecchio altare; sull'abside è conservato un frammento d'affresco raffigurante la Madonna della Catena; nella piccolissima sagrestia si conserva murato un frammento di nicchia proveniente dal polittico della Pietà nella scomparsa chiesa Madre del `500.
Dalla stessa SAGRESTIA si scende per una scala nella CHIESA INFERIORE. In questa distinguiamo la residua parte antica da quella nuova, regolare, avente i sostegni angolari dei quattro grandi archi strutturalmente coincidenti con quelli superiori. Di particolare effetto virtuosistico è la grande volta a vela fortemente ribassata. In essa si scende anche da un piazzale esterno. In questa si conservano, oltre al recente altare del Crocefìsso, un altro tardosettecentesco, sulla cui parete è postauna nicchia rinascimentale incorniciata da eleganti lesene ornate a candelabra ed una statua della Madonna con Bambino, in pietra policroma, il tutto proveniente dalla vecchia Chiesa Madre del `500. A destra di questo, al di sopra di una rudimentale mensa di altare si intravvedono tracce di antiche pitture murali raffiguranti forse un san Biagio. Da qui venne asportato il san Donato conservato, oggi, nella Chiesa Madre. Della VECCHIA CAPPELLA-GROTTA oltre alle due pareti superstiti ed all'immagine, si conservano le acquasantiere sullo scalone ed un piccolo tondo a bassorilievo della Madonna col Bambino murato sulla porta d'ingresso esternamente al suddetto scalone.

CHIESA DI SANT’ANNA DI RENNA. Alla base della collinetta su cui si eleva il borgo di Locorotondo, con affaccio sulla via per Martina franca (ss 172 dei trulli), si nota la chiesa di sant’Anna. E’ la seconda chiesa dedicata a sant’Anna e si differenzia dall’altra, che si trova vicino all’ospedale, aggiungendo l’appellativo dei suoi fondatori, Renna. La famiglia Renna la fece erigere a proprie spese presumibilmente verso la fine del XVII secolo in questo sito che le platee seicentesche riportano con il toponimo di Pietra Rotonda e solo più in là si iniziò ad individuare il luogo come quello di sant’Anna. La chiesa è completamente costruita in pietra locale e le volte sono rivestisti secondo la logica costruttiva del tetto a cummerse. Dell’immenso complesso, è possibile farsi un idea osservandolo dall’altro,collocandosi sulla strada che costeggia la cinta muraria; via Nardelli. Da qui si riesce a chiarire la complessastruttura. Si distingue il corpo centrale rettangolare sul quale campeggia il campanile a vela. Lateralmente sulla sinistra si intersecano per perpendicolare al vano rettangolare altri due vani con cummerse incrociate. Queste sono le parti più antiche. Invece la struttura che si colloca sulla destra è stata aggiunta in un secondo momento. Si tratta di vani più grandi, concepiti su diversi livelli con addirittura una sopraelevazione sul terrazzo terminante a cummerse. Queste aggiunte in parte sono giustificate dalla funzione di hospitio che questa chiesa ha rivestito nei secoli, essendo destinata, data la sua collocazione fuori le mura, ad ospitare malati gravi.
L’ingresso della chiesa è evidenziato da un sagrato chiuso da un muretto di cinta basso. Il portale è serrato da due stipiti reggenti una trabeazione con un’iscrizione epigrafica che riporta la data 1711. Anno in cui la chiesa fu sottoposta a radicali cambiamenti. Sulla trabeazione vi è un’edicola lunetata vuota. L’interno è privo di affreschi e decori. Ma sulle pareti in pietra, legate dal bolo, sono visibili le tracce di finestre chiuse che fanno supporre le varie modifiche strutturali che l’ambiente ha subito.

La chiesa è stata recentemente restaurata ed è emerso l’antico splendore della pietra calcarea che la contraddistingue in ogni suo angolo. Dal sagrato della chiesa si dipanano varie stradine in salita, costitute principalmente da gradini, che attraversando le terrazze della collinetta di Locorotondo portano in alto nel cuore del borgo antico.


CHIESA DI SAN MARCO. A nord, a circa cinque chilometri dalla città di Locorotondo, in prossimità della selva di Fasano vi è la contrada di San Marco. Una delle cento contrade di Locorotondo altamente popolata con una vita di comunità ben sviluppata e organizzata. Al centro della contrada si colloca la chiesetta di San Marco.
Un tempo questa area corrispondeva al Casale di Santa Maria di Cignano con una chiesetta dedicata a Santa Maria Maddalena. Intorno al 1678 il vescovo di Monopoli fece riedificare sul sito occupato dalla chiesa un nuovo edificio sacro intitolato a San Marco.

La chiesa presenta una pianta a tao. I due transetti sono di epoca diversa, dovuti agli ampliamenti che la chiesa ha subito nel corso dei secoli. Il transetto di sinistra è quello più antico che a differenza dell'altro è segnato dalle arcate in pietra e da profonde nicchie sulla destra. In fondo alla parete vi è un altare a muro e nel pavimento si intravedono le aperture a botola che fanno sospettare l'esistenza di un antico sepolcreto. Secondo alcuni storici in origine questo transetto rappresentava l'unica struttura religiosa esistente che poi è stata allargata con le altre due diramazioni cambiando anche l'orientamento stesso dell'edificio.

La struttura esternamente è coperta da tetti a cummerse fatti con le chiancarelle in perfetta sintonia con la tecnica costruttiva dei trulli. In cima al timpano della facciata si eleva un campanile a vela con una croce litica.
La chiesa è preceduta da un ampio piazzale che nasconde una grandissima cisterna di acqua piovana usata dai contadini nei periodo di maggior siccità.
Distante dalla chiesa antica si intravede la chiesa moderna di San Marco con una cupola altissima rivestita con le chiancarelle.


Il TRULLO PIU' ANTICO di Puglia, risalente al 1559 – data incisa sull’architrave della porta – si trova in una di queste affascinanti contrade, Marziolla. In località Lamie Affascinate i vigneti spiccano sullo sfondo di antichi trulli e cummerse, e meritano una visita anche le contrade Crocefisso e Serralta, sempre per i loro trulli e le costruzioni a cummersa. A Pozzomasiello si erge splendida fra gli alberi una masseria, in fondo al passaturo che in tarda primavera occhieggia di mille papaveri rossi.

Tra i PRINCIPALI EVENTI di Locorotondo ricordiamo:
-Festa patronale di San Giorgio, 22-23 aprile: la cerimonia del dono suggella la devozione popolare al santo, il cui culto fu introdotto nella Murgia dai Longobardi; l’odierna festa risale almeno al Seicento. Durante la festa di San Giorgio, da non perdere la cerimonia del dono che consiste nella consegna delle chiavi della Città da parte del sindaco al santo.
-Locus Festival: rassegna estiva di musica con concerti negli angoli più suggestivi del borgo.
-Sagra delle Gnumerèdde Suffuchète, prima domenica d’agosto: gli involtini di trippa sono generosamente innaffiati con il Locorotondo della Cantina Sociale.
-Festa di San Rocco, 14-17 agosto: la fiera in onore del compatrono si conclude con una spettacolare gara di fuochi pirotecnici sulla Valle d’Itria; le prime ore del giorno 16 ha luogo la Diana, il corteo musicale che sveglia i cittadini e li predispone al giorno di festa.



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