mercoledì 12 ottobre 2022

Risotto con crema di Broccoli (o Rape)

  Ingredienti:

  • BROCCOLI/ RAPE q.b.
  • ACCIUGHE q.b.
  • AGLIO n.1 spicchio
  • OLIO, SAPE, PEPERONCINO q.b.
  • RISO q.b.
  • VINO q.b.
  • ACQUA q.b.


Procedimento:
Pulire, lessare i broccoli. Ripassarli in padella con olio, aglio, acciughe e peperoncino. Frullare.

In un tegame: rosolare in poco olio con un'acciuga, il riso; Sfumare con poco vino; Aggiungere acqua calda all'occorrenza fino a cattura. Unire la crema di broccoli ed un filo di olio.

ENJOY  :-) 

martedì 11 ottobre 2022

CASARANO (LE) – SANTUARIO MADONNA DELLA CAMPANA

 CASARANO (LE) – SANTUARIO MADONNA DELLA CAMPANA



La chiesa della Madonna della Campana è un edificio di culto di Casarano, in Puglia. Si erge su un panorama belvedere, una collina di circa 160 metri d'altezza, dalla quale è possibile scorgere uno splendido panorama della città e delle campagne circostanti.
La storia di questa chiesa si perde fra vaghe informazioni e leggende che la vogliono fondata dai Greci o dai Normanni. La prima attestazione di una chiesa intitolata alla Madonna della Campana risale, però, alla visita pastorale del vescovo di Nardò Ludovico de Pennis del 1452. Alla metà del XVII secolo, verosimilmente nell'anno 1656, il precedente edificio di culto, ormai in stato di degrado, venne abbattuto e al suo posto venne edificata l'attuale chiesa.
Il santuario della Madonna della Campana si presenta come un edificio di modeste dimensioni (circa 22 m di lunghezza per 10 di larghezza), e dalle forme semplici. È costruito interamente in conci di carparo locale e l'esterno appare molto semplice e lineare, con una facciata a capanna ed una porta centrale d'accesso, sormontata da una finestra e da una nicchia che non conserva alcuna immagine. Una grande croce luminosa campeggia sulla sommità della facciata e fa sì che, nelle ore notturne, il santuario si distingua chiaramente anche dai pasi limitrofi. Lo splendido altare maggiore, in stile barocco, con curati dettagli floreali dorati, contrasta con la sobria semplicità che caratterizza il resto dell'edificio. L'altare è opera del Chiarello, artista attivo nei cantieri barocchi della provincia nella metà del Seicento.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
La festa della Madonna della Campana, compatrona della città di Casarano, è caratterizzata da un complesso di momenti rituali che trovano il loro sviluppo temporale nell'arco di due giorni: la domenica successiva alla Pasqua (in Albis) e il lunedì seguente (localmente chiamato della Campaneddha, ossia della Campanella). Avremo il piacere di raccontarvi di questi momenti rituali e anche delle diverse legende che vengono raccontate e tramandate da tempo immemore

CASARANO (LE) – CHIESA SANTA MARIA DELLA CROCE

 CASARANO (LE) – CHIESA SANTA MARIA DELLA CROCE 



Nota anche come Chiesa di “Casaranello“, è uno dei monumenti più antichi e ricchi di fascino della Puglia, vanto della Città di Casarano e di tutta l'area jonica.
La chiesa vanta origini lontanissime, ascrivibili ad una datazione che oscilla tra V-VI secolo. Il monumento probabilmente rientrava nei possedimenti della Massa Callipolitana, continuando, anche più tardi, a gravitare nel territorio della diocesi di Gallipoli. Incerta, inoltre, anche la funzione originaria. Si pensa che potesse svolgere la funzione di chiesa battesimale, cioè uno dei complessi realizzati per venire incontro alle esigenze della popolazione rurale, vista la sua ubicazione periferica. Non è esclusa, però, un'altra funzione, quella di contenere una sacra reliquia, ovvero quella della croce, il che giustificherebbe la presenza della croce nella cupola e l'intitolazione. Si fanno risalire al sec. X i primi affreschi, con iscrizioni greche e in puro stile bizantino. Con l'età moderna le sorti della Chiesa di Casaranello furono legate al suo piccolo insediamento e, pertanto, cadde in oblio, versando in condizioni di degrado. La sua riscoperta fu dovuta allo studioso Haseloff che agli inizi del XX secolo, nel suo saggio, ebbe modo di definirlo il monumento più antico e importante dell'epoca cristiana primitiva nel Sud-Est dell'Italia meridionale.
Presenta un semplice prospetto a capanna con un modesto rosone centrale, sormontato e scolpito da un ampio arco di scarico, e, in basso, un semplice portale rettangolare sul quale si apre una lunetta. Sulle due estremità laterali vi sono poste delle piccole statue di Santa Lucia e Santa Caterina. All'interno, la chiesa è suddivisa su tre navate. L'interno custodisce pregevoli dipinti e mosaici. Alla prima fase di vita della chiesa risale il mosaico a tessere policrome situato nella volta dell'edificio con un motivo a coda di pavone. Inoltre vi è la raffigurazione del Paradiso celeste e del Paradiso terrestre. Del mosaico pavimentale, formato da tre file concentriche di cerchi (una scura, una rossa e un'altra scura) affiancati gli uni agli altri e di poco intersecanti, rimane solo un piccolo lembo posizionato su un muro perimetrale. I numerosi affreschi si suddividono in diverse epoche. Per quanto riguarda la prima, si tratta del X - XI secolo (età medio-bizantina) si menzionano quelli dei pilastri raffiguranti la Vergine con Bambino, Santa Barbara, Santa Parasceve, San Michele e il dittico nel presbiterio, identificato con i santi Nicola e una figura di cavaliere. Ai secoli successivi risalgono la Deesis con il Cristo Pantocratore e scene della cristologice, delle quali sopravvivono solo le ultime quattro scene. Già in questo periodo la chiesa era dedicata alla Madonna, testimoniato dalla presenza di un'iscrizione di quel periodo. Nella volta a botte della navata centrale sono presenti affreschi gotici del XIII secolo raffiguranti scene della vita di santa Caterina d'Alessandria e di santa Margherita d'Antiochia, che testimoniano gli afflussi giunti dal nord europeo. Tra la fine del XIV e inizi XV secolo si realizzarono dei nuovi affreschi su quelli precedenti, come testimonia l'affresco riguardante Papa Urbano V che venne realizzato su quello di santa Barbara ed ora è pensile e conservato sulla navata destra, o come l'affresco oggi pensile della Madonna con Bambino, un tempo posta sull'altare maggiore. Infine, l'ultimo periodo di affresco riguarda la fase post medievale, con gli affreschi di san Bernardino da Siena, sant'Eligio e sant'Antonio Abate, oggi conservati pensili sulla navata destra. Vi è anche un affresco di fattura popolare riguardante la Madonna col Bambino, dipinto nel 1643 e conservato sulla navata sinistra.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Conosciuta per i suoi splendidi mosaici, la Chiesa di S. Maria della Croce, nota anche come Chiesa di 'Casaranello', rappresenta uno dei monumenti più ricercati della Puglia. Essa, inoltre, è un punto di riferimento per lo studio delle decorazioni musive nelle chiese paleocristiane e trova confronti con la Grecia (Salonicco) e l'Italia bizantina (Ravenna, Roma, Albenga) Le GFA coincideranno con i festeggiamenti della di S. Maria della Croce, rappresentata all'interno del sito da una statua in cartapesta di notevole fattura. Nelle vicinanze potremo ammirare Piazza Bastianutti, la piccola piazza-giardino progettata da Hidetoshi Nagasawa, artista nipponico di fama mondiale , realizzata in memoria di Paola e Daniela Bastianutti, due sorelle casaranesi che hanno perso la vita nell'attentato terroristico dell'estate del 2005 a Sharm-el-Sherik.

LECCE – CHIESA SS. NICOLO’ E CATALDO

 LECCE – CHIESA SS. NICOLO’ E CATALDO



Il complesso monumentale dei Ss. Niccolò e Cataldo costituisce una memoria storica importante della nostra città, forse nota più ai turisti che non a molti – per fortuna non a tutti – leccesi. Una eredità del passato che, a ritroso, proietta Lecce in una dimensione spazio-temporale che cavalca circa sei secoli di storia, dalla fine del XII secolo fino almeno al XVIII, senza dimenticare però il cruciale passaggio delle strutture del monastero all'allora Università degli Studi di Lecce: ed era il 1994. Un po' romanticamente, mi piace immaginare la chiesa e il monastero, meravigliosamente sopravvissuti, come i due ventricoli di un cuore che battono all'unisono: un bene vivo del nostro patrimonio culturale.
La chiesa – preziosa gemma del Romanico pugliese – è la parte più antica, e genuina: è ubicata fuori dalle mura urbiche della città, cui tuttavia era direttamente collegata attraverso uno dei suoi assi viari principali che in parte ricalca l'attuale tracciato del viale di San Nicola.
Si tratta di un edificio con impianto basilicale con tre absidi orientate, molto vicino ad tipo c.d. ‘a croce contratta', con il braccio longitudinale scandito in tre navate, e quello trasversale collocato al centro dell'impianto. Pilastri e semipilastri cruciformi, sormontati da grandi capitelli, sostengono le coperture (a botte nella navata centrale e a crociera nelle due laterali): al centro svetta l'alto tamburo ottagonale della cupola. L'esterno attrae però forse ancor più la nostra attenzione, non solo per la sua armonica unitarietà ritmata da una teoria continua di archetti ciechi, ma anche per il prezioso portato scultoreo e documentario: in facciata e lungo la fiancata meridionale, a destra, si aprono infatti due grandi portali lunettati, incorniciati da fasce digradanti di arenaria finemente cesellati, quasi intagliati come legno, a riprodurre elementi vegetali. Alla base delle due lunette corrono due iscrizioni, la carta d'identità della chiesa stessa, in cui sono trasmessi la data di fondazione – 1180 –, il nome del committente – Tancredi, ancora conte di Lecce prima della sua incoronazione a re di Sicilia dal '90 al '94 –, la dedicazione a san Nicola di Myra, e Agnus forse il protomagister responsabile del progetto. Già questo sarebbe sufficiente a fare della chiesa e del complesso monastico benedettino, passato alla congregazione di Monte Oliveto nel 1494, una tappa imperdibile di Lecce. Agli Olivetani si devono peraltro gran parte degli interventi di epoca moderna: Gabriele Riccardi, p.e., realizza le due acquasantiere ricavate nelle colonne immediatamente all'ingresso della chiesa; la prima versione degli altari laterali poi rifatti nel 1626 e nuovamente nel corso del XVIII secolo; e la statua di San Nicola, oggi collocata nella navata sinistra ma originariamente posta sull'altare maggiore (pure quest'ultimo rimosso nel Settecento per far posto all'altare marmoreo che oggi si vede), anch'esso rifatto dal Riccardi, cancellando l'abside medievale; nel 1600 è completata la decorazione ad affresco. I due altari delle famiglie Grandi e Condò sono riscostruiti – come detto – nel 1626 e dedicati rispettivamente a santa Scolastica e a santa Francesca Romana. Al primo ventennio del Seicento si aggancia anche pure la decorazione pittorica sia delle coperture, sia del nuovo coro. L'ultimo, significativo rifacimento interessa la facciata, documentato da un'iscrizione collocata sul fastigio ‘a greca' che reca la data 1716: riallestita in chiave barocca la tradizione locale la vuole progettata da Giuseppe Cino, anche se non è del tutto peregrina l'attribuzione a Mauro Manieri dei primi anni. Alla chiesa, già nel Medioevo, erano associate le strutture del monastero che oggi si conserva nelle forme che assunse in epoca moderna: dei due chiostri, quello adiacente alla chiesa fu completato già nel 1559 e ospita lo straordinario pozzo a baldacchino cinquecentesco – ubicato nel secondo chiostro –, coperto da un cupolino dal disegno ottagonale sorretta da quattro colonne vitinee, e che diviene simulacro del sacramento del battesimo e la cui acqua assurge a simbolo di purificazione e di rinascita.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
La visita comprenderà anche il Cimitero monumentale di Lecce con descrizione delle artistiche cappelle. Il Cimitero monumentale di Lecce, costruito a metà dell'800, in seguito all'Editto napoleonico di Saint-Cloud, sorge fuori delle mura urbane, nell'area antistante la chiesa medievale dei S.S. Niccolò e Cataldo, annessa al monastero degli Olivetani. Nella sua parte monumentale risulta un complesso di notevole interesse storico-artistico, vero 'museo all'aperto'. I principali monumenti commemorativi, datati prevalentemente tra gli anni Quaranta dell'800 e la fine del `900, appartengono alla memoria storica e culturale della città . (Marika Battista)

LECCE – SANTA MARIA DI CERRATA

 LECCE – SANTA MARIA DI CERRATA



Immersa in un meraviglioso paesaggio di uliveti, alberi da frutto e aree coltivate, leggenda vuole che l'Abbazia sia stata fondata in seguito a una visione da parte del re Tancredi d'Altavilla, conte di Lecce, a cui apparve l'immagine della Madonna, dopo aver inseguito una cerbiatta in una grotta. Storicamente, invece, la fondazione è attestata tra la fine dell'XI e gli inizi del XII secolo, quando Boemondo d'Altavilla - figlio di Roberto il Guiscardo - insedia un cenobio di monaci greci, seguaci della regola di San Basilio Magno, che riparano in Salento per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste di Bisanzio.
Sorta in prossimità della strada romana che univa Brindisi con Lecce e Otranto, l'Abbazia viene ampliata fino a divenire uno dei più importanti centri monastici dell'Italia meridionale: nel 1531, quando passa sotto il controllo dell'Ospedale degli Incurabili di Napoli, il complesso comprende, oltre alla chiesa, stalle, alloggi per i contadini, un pozzo, un mulino, due frantoi ipogei.
Il saccheggio dei pirati turchi nel 1711 fa precipitare l'intero centro in uno stato di completo abbandono che prosegue nel corso del XIX secolo fino all'intervento della Provincia di Lecce, nel 1965, che affida i lavori di restauro all'architetto Franco Minissi. Grazie a un bando pubblico promosso dalla Provincia di Lecce, nel 2012 il complesso viene affidato al FAI. Oggi, dopo un complesso intervento di restauro che ha permesso anche di riaprire al culto la Chiesa di Santa Maria di Cerrate, l'Abbazia è nuovamente visitabile e rappresenta uno splendido esempio di architettura romanica pugliese impreziosita da importanti affreschi che ne fanno un unicum nel mondo bizantino.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
CERRATE: ABBAZIA E MASSERIA Visita alla scoperta di Cerrate: Un tempo monastero di rito bizantino con scriptorium e biblioteca, poi centro di produzione agricola specializzato nella lavorazione delle olive. La visita all'Abbazia di Cerrate restituirà l'affascinante racconto della sua doppia anima di luogo di culto e masseria storica. PRENOTAZIONE CONSIGLIATA Visita esclusiva del primo piano della Casa del Massaro per iscritti FAI o per chi si iscrive in loco. Sabato 15 ottobre alle ore 18.00 celebrazione della S.Messa in rito bizantino. CERRATE ALL'APERTO Sarà un'occasione per scoprire aspetti inediti dell'Abbazia di Cerrate, per approfondire l'aspetto agricolo e naturalistico, non solo del Bene ma anche del paesaggio nel quale è inserito. Sarà possibile seguire un vero e proprio percorso a tappe così articolato: - Il progetto dell'uliveto sperimentale di Cerrate e degli innesti sugli olivastri - Le api nei Beni del FAI, con osservazione delle arnie e approfondimento sull'importanza delle api e il progetto condotto dal FAI - Muretti a secco, pajare e cisterne limitrofe all'Abbazia - Il progetto di recupero dell'agrumeto storico all'interno del complesso abbaziale. Alla fine della visita saranno fornite anche notizie storico-artistiche sulla chiesa abbaziale. UN BALZO D'IMMAGINAZIONE - Reinventa il gioco della Campana Per i bambini è tempo di tornare a giocare all'aperto, con il laboratorio ludico-creativo 'Un balzo d'immaginazione". Nel parco del complesso abbaziale di S. M. di Cerrate, i piccoli partecipanti, guidati dall'artista Manuela Martella, 'reinventeranno' il gioco tradizionale della Campana. Seguendo la propria inventiva, scomporranno le regole base di questo gioco tradizionale, per inventarne delle nuove che permetteranno loro di sviluppare nuove abilità e riflessi utili per saltare e muoversi lungo il percorso in modo originale, divertente e sicuro. Il laboratorio si concluderà con un momento di condivisione con amici e familiari, durante il quale i bambini, invitando gli altri a giocare con loro, mostreranno i loro 'balzi d'immaginazione'.

SAN GIOVANNI ROTONDO (FG) – CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA (detta LA ROTONDA)

 SAN GIOVANNI ROTONDO (FG) – CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA (detta LA ROTONDA)



La Chiesa di San Giovanni Battista a San Giovanni Rotondo, detta anche la Rotonda, sorge in un'area pianeggiante alla periferia est del paese, al di fuori delle mura dell'abitato di origine medievale e a ridosso di un'importante direttrice viaria di collegamento all'interno del promontorio garganico, interessato a partire dal V secolo d.C. da un fitto passaggio di pellegrini che si recavano alla Grotta di San Michele a Monte Sant'Angelo. Strettamente unita a questa chiesa è quella, adiacente, di Sant'Onofrio, anticamente collegata tramite una porta laterale e breve corridoio. Dalla forma circolare della Rotonda sembra discendere anche la denominazione del paese. Una tradizione locale, non fondata su dati storici ma leggendari, la riteneva un tempio dedicato a Giano, successivamente trasformato.In passato in zona sorgevano anche diverse cappelle votive demolite nel corso dei secoli, oltre l'antico cimitero.
La presenza di comunità rurali di età romana e tardoantica a ridosso di un'importante direttrice viaria costituisce il contesto nel quale dovette inserirsi. non prima della fine del V secolo, la costruzione dell'edificio di culto cristiano con battistero, sul sito poi occupato dalla Rotonda. Il battistero si è poi allargato in un'ulteriore navata verosimilmente a partire dall'XI secolo. La Chiesa di sant'Onofrio, che fa parte del complesso monumentale, risale invece al XIV secolo ed è stata interessata nel corso dei secoli da numerosi interventi di restauro.
La chiesa è articolata in due corpi di fabbrica distinti: la rotonda (battistero) vera e propria, ossia il battistero altomedievale, e la navata, una struttura rettangolare successivamente addossata al battistero di San Giovanni. E' stata individuata all'interno la vasca battesimale paleocristiana che riveste notevole importanza sul piano storico artistico essendo una delle rare testimonianze di battistero paleocristiano "autonomo" poco noti in Italia Meridionale. Le notizie relative al collegamento con la vicina chiesa di Sant'Onofrio, che si desume dagli antichi documenti, hanno trovato conferma a seguito di una recente ricognizione condotta con georadar. Sul lato sud sono inoltre visibili i resti di un'apertura che immetteva, tramite una cappella, appunto nella chiesa di Sant'Onofrio, fondata nel secolo XIV secondo lo stile gotico, forse su un edificio tardo antico già collegato alla Rotonda. Molto particolare in queste due chiese l'apparato decorativo con affreschi, soprattutto nella Chiesa di San Giovanni, che attestano la presenza di artisti attivi nel XIII e XIX secolo.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
La visita durante le Giornate FAI permetterà di conoscere due singolari edifici religiosi, che presentano al loro interno interessanti frammenti di una veste pittorica databile al periodo che va dal XII al XIV secolo. Si potranno osservare il raro soggetto dell'Antico dei Giorni, il Tetramorfo, figure di Santi e della Madonna, purtroppo spesso picchiettati per far posto a nuovi strati di intonaco, ma egualmente affascinanti.

BICCARI (FG) – LAGO PESCARA

 BICCARI (FG) – LAGO PESCARA



Il territorio di Biccari è ricco di ambienti naturali molto belli e suggestivi dove la montagna ha una presenza importante. L'area naturale lago Pescara Monte Cornacchia è raggiungibile dalla strada statale 17 da Foggia, tangenziale di Lucera a sinistra per Tertiveri seguendo la provinciale Lucera Biccari Roseto. L'area è dotata di zone attrezzate per picnic, punti d'osservazione, aree per il parcheggio e per la sosta, servizi, posti di ristoro e alberghi che consentono di praticare una sana attività naturalistica rispettando l'ambiente. Punte di diamante di questo rigoglioso ambiente sono il Monte Cornacchia e il lago Pescara.
Ammantato di boschi e pascoli il Monte Cornacchia è ubicato al confine tra i territori comunali di Biccari e Faeto e con i suoi 1151 m rappresenta la vetta pugliese più alta. L'area naturale è ricca di boschi naturali a prevalenza di cerro in cui figurano anche roverelle, aceri, carpini e, nel sottobosco, dafne laureola, biancospino, non ti scordar di me, primula, agrifoglio, orchidee come l'orchidea purpurea nonché funghi di varie specie tra cui alcune commestibili. Dalla cima della montagna si ammira un vasto paesaggio comprendente il Gargano, il Tavoliere, l'Irpinia, il Matese e la Maiella. Lungo le falde settentrionali dell'altura sgorgano le sorgenti del torrente Vulgano con alcuni giacimenti di idrocarburi e il lago Pescara.
Il lago, unico lago naturale montano della Puglia, è esteso su tre ettari con una profondità massima di sei metri. E' privo di emissari naturali e presenta acque che sono alimentate da sorgenti sottolacustri e da ruscelli formatisi dopo le precipitazioni e dopo lo scioglimento delle nevi. Dall'alto della sua posizione si domina la pianura circostante dal lento degrado verso il mare interrotta all'orizzonte dalla collina fortificata di Lucera e dal promontorio del Gargano. Il termine Pescara del laghetto è improprio e deriva forse da un errore di trascrizione sulle carte toponomastiche in quanto la gente del posto gli assegnava il nome di Peschiera attribuendo al laghetto una certa immagine di bontà per la pesca. Sul lago si ha una presenza dominante di alghe verdi, mentre tra gli organismi che vivono a contatto con la superficie dell'acqua sono presenti nel periodo primavera estate gerridi e coleotteri, mentre in primavera sono state notate rane, salamandre e bisce d'acqua. In prossimità della riva si trovano abbondanti macrofite come giunchi che affondano nel substrato del lago, mentre la superficie dell'acqua appare quasi uniformemente coperta dalle galleggianti foglie delle cosiddette lingue d'acqua qua e là accompagnate da bianchi fiori del ranuncolo acquatico. Il lago Pescara costituisce un ecosistema ottimale per la vita e la riproduzione anche di varie specie ittiche e rappresenta un biotipo unico e raro di immenso valore.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Le guide, messe a disposizione dal Comune di Biccari, accompagneranno i visitatori alla scoperta dei beni ambientali con escursione al Monte Cornacchia, lago Pescara e, al ritorno, alla panchina gigante da cui si può osservare lo splendido paesaggio

BICCARI (FG) – BORGO DI BICCARI

 BICCARI (FG) – BORGO DI BICCARI



Biccari, uno tra i Borghi Autentici d'Italia, sorge sul territorio dei Monti Dauni e con i suoi 2.800 abitanti e la sua posizione collinare, gode di un bellissimo paesaggio che si estende tra boschi e aree naturali. Il territorio di Biccari comprende anche le località di Berardinone, Sant'Antonio e Tertiveri. Si tratta di un territorio irregolare, con variazioni altimetriche importanti, che vanno da 181 metri a 1151 metri sul livello del mare. Il panorama che offre è molto suggestivo: dal borgo si possono ammirare vaste distese di pascoli, vigneti e oliveti, ma anche boschi lussureggianti.
Il nome di Biccari compare per la prima volta in un documento che risale alla metà del IX secolo e sembra derivare dal latino vicus. Il territorio, che fa registrare il più alto villaggio neolitico in località Boschetto, fu anticamente abitato dai Dauni e venne colonizzato prima dai Romani e poi da molte dominazioni, tra cui quella bizantina, longobarda. normanna e sveva. Le origini del nucleo abitato di Biccari sono senz'altro da porre tra il 1024 ed il 1054 ad opera dei Bizantini del catapano Basilio Boioannes e del Vicario di Troia, Bisanzio de Alferana. Testimonianza dell'epoca è la possente Torre cilindrica, facente parte di una serie di avamposti militari realizzati per meglio difendere la via Traiana, importante arteria di collegamento per i traffici ed il commercio tra la zona irpina ed il Tavoliere. Fu però sotto gli Svevi, in particolare durante il regno di Federico II, che il Borgo visse un periodo di sviluppo e splendore, durante il quale, per difendersi dagli attacchi esterni, furono costruite molte fortificazioni.
Di particolare interesse storico-artistico: la Torre bizantina, il centro storico, il portale medievale di Palazzo Gallo (piazza don Luigi Sturzo), la chiesa romano-gotica di San Quirico del XV sec., il Convento di Sant'Antonio (1477), la Croce Viaria di Porta Pozzi (1473), il Palazzo Caracciolo, la Chiesa dell'Assunta, l'altare ligneo riccamente intagliato e decorato in oro zecchino di San Michele (XVIII sec.), il palazzo Goffredo dell'800 con le sue maestose facciate, le masserie fortificate di Santa Maria ed Imporchia, il palazzo Pignatelli di Tertiveri.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Sarà possibile visitare il centro storico e scoprirne caratteristiche artistiche e storiche, oltre a gustare prodotti del territorio.

FOGGIA - ITT “ALTAMURA DA VINCI”

 FOGGIA - ITT “ALTAMURA DA VINCI”



L'Istituto "Altamura" di Foggia nasce per l'iniziativa privata della Camera di Commercio nel 1864, solo due anni dopo il Tecnico di Fermo, ma primo in Italia riconosciuto come Regio Istituto nel 1872: da subito si connota come testimonianza "dell'intelligentia tecnologica e culturale" della città di Foggia, della Capitanata e del Mezzogiorno.
Frutto della spinta alla meccanizzazione della cerealicoltura e delle imprese, in grado di assicurare la manutenzione delle moderne macchine agricole, l'Istituto ha accompagnato in 150 anni, tutte le spinte industriali, scientifiche e tecnologiche del territorio. L'insegnamento teorico, sempre affiancato a quello pratico, si è avvalso delle antiche officine (fonderia, falegnameria...) evolutesi in modernissimi laboratori digitalizzati (meccatronica, robotica, informatica, chimica, elettronica...). Il complesso architettonico e i macchinari (dai più antichi ai più avanzati) rendono tangibili le significative vicende di questa lunga storia (come quando fu occupato dalle Forze Alleate che ne fecero la base per le necessità logistiche dell'avanzata verso il Nord Italia e i Balcani), tanto che nei capannoni antichi sta sorgendo un Museo Storico della Scienza e Tecnologia.
Il complesso oggi si presenta con una lunga facciata razionalista a mattoncini rossi, scandita verticalmente da pietra bianca che inquadra due portali laterali con bassorilievi, a motivi fascisti con la data -anno XVIII dell'era fascista- e un diaframma in vetrocemento. All'interno, nel primo dei tanti cortili-giardino, resta visibile la bella facciata classicheggiante del primo edificio, con portale d'ingresso tripartito e fornice centrale ad arco, sormontato da una imponente trabeazione con cornice e vela, riportante la scritta "Scuola per le arti meccaniche e fabbrili - anno 1872". Ulteriori testimonianze sono offerte dalla teoria di epigrafi storiche, custodite nell'androne dell'edificio antico (il "sacrario") e dalla biblioteca (realizzata anch'essa all'interno di un'antica officina) che ospita l'Archivio Storico.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
I visitatori che vorranno fare un vero e proprio viaggio nella storia, nell'architettura, nell'archeologia industriale e nella cultura tecnico-scientifica foggiana dalla seconda metà dell'800 in poi cominceranno il loro percorso dalla lettura della bella facciata e dei rilievi di età fascista, poi potranno, attraverso l'androne principale, scendere nel primo grande cortile, dove meglio si coglierà il rapporto intercorrente fra le strutture degli anni '30 e quelle originarie del 1872, a partire dall'antica facciata con iscrizione d'epoca. Si entrerà, quindi, nell'ottocentesco atrio "sacrario", ricco di epigrafi che permetteranno di ripercorrere gli eventi storici fondamentali per la scuola e la Città accaduti in 150 anni; da qui si accederà al cortile più antico con la vasca ed i loggiati che conducono alle antiche officine: qui si potranno vedere le storiche fonderie che ospitano l'erigendo Museo Storico della Scienza e Tecnologia con i vari macchinari e strumenti restaurati. Si potranno apprezzare le strutture con coperture a shed ancora da restaurare e l'antica locomobile ottocentesca. Si completerà il giro raggiungendo la bella biblioteca archivio, frutto di un recente intervento di restauro, teso alla valorizzazione delle strutture industriali dell'800 che li ospitano: qui sarà allestita una mostra dei documenti storici maggiormente antichi e interessanti, tra cui fotografie, antiche pagelle e registri, piante e rilievi, dal 1872 in poi. 

SAN VITO DEI NORMANNI (BR) – CHIESA SAN BIAGIO

 SAN VITO DEI NORMANNI (BR) – CHIESA SAN BIAGIO



Nella provincia brindisina, risalente al XII secolo, si apre la Cripta rupestre di San Biagio, un santo taumaturgo molto venerato e amato dalla popolazione rurale. Il bene si trova a poca distanza dalla masseria Jannuzzo e si presenta come un santuario collocato in un vero e proprio villaggio rupestre sorto lungo le pareti rocciose dell'avvallamento creato dal corso del Canale Reale nel territorio comunale di Brindisi, a circa 11 km a ovest dal capoluogo in direzione di San Vito dei Normanni. La chiesa, quasi certamente di rito ortodosso, è stata scavata al centro di un piccolo insediamento monastico di cui si scorgono, nei dintorni, le celle destinate ai monaci, ma nel tempo ha subito delle trasformazioni che ne hanno modificato l'aspetto originario.
Questo luogo di culto è uno dei principali insediamenti rupestri della regione pugliese per il suo rilevante valore storico ed artistico, in particolare per la presenza di un ciclo pittorico integro e ben conservato. Qui si insediò, prima del XII secolo, una comunità di monaci italo-bizantini che abitò queste grotte probabilmente già utilizzate in tempi precedenti. Ad alcune sostanziali modifiche strutturali, intervenute probabilmente nel 1700, si deve l'attuale aspetto della cripta come unico ambiente irregolare con ingresso laterale. Oltre gli affreschi si conserva un'iscrizione greca recante la data dell'8 ottobre 1196.
Ai lati della cripta sono scavate due grotte: una molto grande di forma quasi circolare e probabilmente destinata a refettorio, dormitorio comune e luogo di riunione, l'altra, piuttosto piccola, di forma rettangolare potrebbe essere stata adibita ad abitazione di un eremita o di un custode. La chiesa San Biagio un tempo aveva due ingressi, uno per accedere al presbiterio, l'altro per i fedeli. La chiesa ha una pianta rettangolare e la presenza delle due porte e le tracce di archi dove ha inizio la parte affrescata lasciano pensare alla presenza di un'iconostasi di cui oggi non vi è traccia. Le pitture della volta e delle pareti rappresentano un ciclo pittorico tra i più interessanti della Puglia ispirati a modelli bizantini ma con influssi propri delle tradizioni locali. Sono rappresentate scene cristologiche ispirate anche ai Vangeli apocrifi e ritratti dei santi della chiesa orientale e occidentale.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Lo splendido ciclo affrescato risalente al XII secolo è un'eccezionale testimonianza della presenza dei monaci basiliani che fondarono numerose comunità in Puglia intorno all'anno 1000. La loro storia, insieme a quella del territorio che li ha accolti, sarà al centro delle visite previste dal Gruppo FAI Giovani di Brindisi. Saranno inoltre parte integrante del tour due momenti di musica medievale, realizzati proprio all'interno degli ambienti affrescati della chiesa, e un esclusivo appuntamento con le stelle con osservazioni astronomiche che prevederanno direttamente l'utilizzo della volta della cripta. L'iniziativa speciale organizzata presso questo luogo prevede in entrambe le giornate di sabato 15 e domenica 16 ottobre 2022, un particolare appuntamento con le stelle: dalle 19:00 alle 21:00 sarà possibile osservare la volta celeste direttamente dalla cupola della cripta grazie alla collaborazione con la Nuova Associazione Studi Astronomici di Brindisi. Evento su prenotazione.

CANOSA – LE CAVITA’ ARTIFICIALI

 CANOSA – LE CAVITA’ ARTIFICIALI



Le cavità artificiali di Canosa sono ubicate nel sottosuolo del centro della città stessa. Trattasi di cave ipogee.
Sono il risultato di una attività estrattiva sotterranea finalizzata all'ottenimento di blocchi di calcarenite quale materiale da costruzione. Tale attività si è sviluppata al di sotto della città tra la fine del XVIII e gli inizi del XX secolo. Ora che l'attività estrattiva si è spostata in superficie al di fuori della città e le cavità non soddisfano più alcun uso restano spazi che raccontano solo ciò che sono offrendoci la possibilità di riconoscerne il valore di architettura. Il valore di opera di architettura viene riconosciuto anzitutto in virtù di una tecnica estrattiva che ha reso possibile la realizzazione di queste cave. Si tratta di una tecnica costruttiva per sottrazione che lascia sulle pareti i segni ordinati dell'estrazione, come in una costruzione avviene con le incisioni per filari di pietra. Assume la natura di una costruzione al negativo, senza prospetti e con una luminosità densa di ombra, che per essere compresa può essere rappresentata solo in ambrotipia, come certi modelli di chiese realizzati da Luigi Moretti. In effetti la dimensione delle gallerie sotterranee di Canosa è quella monumentale di una chiesa romanica a una navata.
Il valore di opera di architettura è poi nella configurazione secondo forme strutturali ben definite e ripetute, consolidate dall'uso e dall'esperienza, in una successione di gallerie scavate. Si tratta di tipi strutturali – sezione rettangolare, trapezoidale, a tenaglia, a campana – che derivano da una prefigurazione costruttiva che emerge da una memoria collettiva o da un modo intuitivo di comprendere il funzionamento delle forze nelle masse naturali sovrastanti. Sono semplici forme tecniche, come quelle che si utilizzano per un edificio industriale. Ne deriva che queste cavità lasciano ben intuire la differenza tra uno spazio della natura e uno dell'artificio, tra la grotta e la cavità, tra la Physis e la Technè. Pertanto si può riconoscere a queste opere dell'uomo lo statuto di architetture (primitive) perché posseggono persino una intenzionalità estetica che va oltre l'uso e la materia e che è intrinseca all'esercizio della tecnica; essa si esprime attraverso i caratteri del tutto umani di una precisione esecutiva, di una essenzialità costruttiva, di una semplicità e chiarezza delle forme che sono propri delle architetture spontanee. Queste ultime, che non sono casuali o non intenzionali, sono l'esito di un consolidarsi di forme nel tempo, proprio come le volte che coprono queste gallerie sotterranee. Una architettura spontanea è estremamente precisa (è perfetta) perché possiede una intrinseca misura, una forma consolidata dall'uso, una precisa tecnica realizzativa, un forte legame col suolo e qualcos'altro ancora. Queste cavità, come la casa del contadino di Loos, ci raccontano del lavoro dell'uomo e delle nozioni elementari che egli possiede per costruire una architettura essenziale e necessaria. Le cavità canosine sono spazi funzionali che nessuno mai avrebbe guardato come spazi in possesso di una bellezza del tutto autonoma. Al di là delle forme dettate dalla sola necessità costruttiva, di cui abbiamo parlato, vanno guardate anche le tracce dello scavo sulle pareti non tanto come un retorico racconto della costruzione, ma come i segni del lavoro e della fatica dell'uomo, come le aste incise sul muro della cella da un carcerato che conta i giorni che lo separano dalla libertà. Così umano e materiale si mescolano, diventano un'unica cosa rendendo ancora più interessanti e misteriose queste opere.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Scopriremo un possibile progetto di valorizzazione. Il progetto di valorizzazione ha acquisito le tecniche di intervento dallo stesso processo realizzativo delle cavità. Non è prevista alcuna nuova costruzione ma solo piccole opere di scavo del suolo al fine di ottenere luce, aria e realizzare accessi pedonali e meccanizzati. Il progetto si sviluppa su più quote sovrapposte: al livello della città troviamo le due corti interne del palazzo Papagna, con la presenza di resti archeologici, soprattutto di un mosaico appartenente ad una domus romana; al livello interrato la cavità 63, costituita da un vasto atrio d'arrivo con quattro gallerie che si annodano in modo circolare, e la cavità 43, costituita da tre lunghe gallerie che si sviluppano a partire da un analogo atrio d'accesso. Il programma prevede di unire le corti in superficie, una delle quali è coperta con una leggera tettoia a protezione degli scavi, con la cavità 63 in modo da costituire un museo cittadino che dai resti romani conduce alla cavità interrata, mostrando una parte della stratificazione storica della città. Il collegamento avviene attraverso una scala che taglia il suolo offrendo luce ed aria al sottosuolo. Per gli interventi di consolidamento delle gallerie della 63 si è sperimentata una modalità di intervento che utilizza elementi della costruzione come il traliccio in metallo o i contrafforti in muratura con architrave in metallo.La cavità 43 è destinata a bagni pubblici per la città (una Spa), un utilizzo ovvio vista la condizione ipogea e la vastità degli spazi. In questo caso il consolidamento avviene attraverso le vasche d'acqua in cemento, corpi rigidi che imprimono rigidezza alle stesse pareti della cavità. Alle tre gallerie esistenti ne è stata aggiunta una ex-novo a botte, con profilo perfettamente semicircolare (si può immaginare che la seconda metà resta interrata, come nella incisione del ponte Fabrizio di Piranesi) che risulta il più adatto alle sollecitazioni presenti nella massa calcarea sovrastante. Il modo delicato di intervenire sulle cavità ha mirato alla conservazione del bene architettonico ed insieme l'ha trasformato quel tanto che ne consentisse un utilizzo attuale, attraverso pochi leggeri e necessari interventi dettati dalla stessa natura dell'edificio

MOLFETTA – DAL MARE AL CIELO: OLTRE LA MADONNA DEI MARTIRI

 MOLFETTA – DAL MARE AL CIELO: OLTRE LA MADONNA DEI MARTIRI



La basilica della Madonna dei Martiri, che si affaccia sul mare lungo la costa che da Molfetta conduce a Bisceglie, costituì, fin dalla sua fondazione, un passaggio obbligato tra i due poli più importanti dell'itinerario di pellegrinaggio pugliese. Situata nei pressi di Cala San Giacomo, l'antico porto di Molfetta, la chiesa svolgeva, unitamente allo xenodochio, chiamato erroneamente nella tradizione popolare "Ospedaletto dei Crociati", funzione di ricovero per i più poveri come la maggior parte degli ospizi e degli ospedali lungo le vie di pellegrinaggio.
Verso la fine dell'XI secolo, Ruggero Borsa fece costruire due xenodochi per i pellegrini (dei quali è rimasto solo quello nord,) e una cappella dove si trova l'attuale basilica. Successivamente, nel 1162, Guglielmo I, re di Sicilia, fece edificare la chiesa romanica. Con l'elezione a vescovo di Molfetta di Filippo Caracciolo dal 1820 al 1833, e l'arrivo successivo dei Padri Riformati, si desiderò costruire un nuovo edificio. Si procedette allo smantellamento della chiesa romanica che, nel 1842, era stata completamente demolita.
La chiesa romanica era composta da una sola navata e sormontata da due cupole a chiancarelle. L'odierna basilica, in stile neoclassico, è composta da tre navate con due ordini di colonne. La navata centrale è a tutto sesto, decorata con rosoni esagonali incassati, quelle laterali, invece, presentano delle volte con decorazioni in stucco. Lo xenodochio oggi esistente si presenta come un'aula di circa 25x10 metri divisa in tre corsie . In origine erano presenti due piani: l'appartamento inferiore era destinato agli infermi, quello superiore ai sani.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
L'apertura nelle Giornate FAI prevede un percorso alla scoperta degli elementi dell'originaria chiesa romanica incastonati tra i corpi di fabbrica ottocenteschi e le superfetazioni successive. Il visitatore sarà accompagnato fin sul tetto dove potrà scoprire l'antica cupola a chiancarelle, ignota ai più anche per la sua difficile visibilità . Dal tetto, attraverso l'ausilio materiale cartografico, verrà individuato l'antico porto di cala San Giacomo. La visita proseguirà all'interno dell' 'Ospedaletto dei Crociati' dove i visitatori potranno apprendere le motivazioni dell'errata denominazione e ammirare l'imponenza dello xenodochio.

BISCEGLIE – CHIESA SANTA MARGHERITA

 BISCEGLIE – CHIESA SANTA MARGHERITA



La piccola chiesa medievale di Santa Margherita, sorta extra moenia ed oggi inglobata nell'ampliamento otto-novecentesco della città di Bisceglie, conserva la struttura originaria e gode del raro privilegio di una documentazione che ne attesta genesi e committenza. Esiste infatti la trascrizione di un Atto di donazione, datato 12 gennaio 1197, dei beni di varia natura con i quali Falco, giudice della Curia Imperiale, figlio di Giovanni, giudice della città di Bisceglie, corredava la chiesa, che aveva appena fatto edificare a proprie spese.
Risale al momento del trapasso, nel regno di Sicilia, dall'età normanna alla sveva ed il facoltoso e prestigioso fondatore esprime, nell'opera che realizza, una cultura raffinata e aggiornata, in cui elementi di tradizione orientale e innovativi fattori occidentali sono armoniosamente fusi, così nella costruzione, come nei beni elencati e donati. La santa dedicataria è Margherita di Antiochia, vergine e preziosissima martire, vissuta nel terzo secolo.
L'edificio, realizzato in ottima pietra locale, porta a perfezione un tipo di impianto, detto ‘a croce greca contratta' e diffuso nel bacino orientale del Mediterraneo, che già aveva influenzato in Puglia, e in particolare nell'agro della stessa Bisceglie, costruzioni come la notevole chiesa di Ognissanti del casale di Pacciano: nel mezzo della navata, unica e absidata, una cupola si imposta sull'incrocio di ideali quattro bracci - i laterali ridotti a due arconi di sostegno -, tutti segnalati all'esterno da timpani di testata. Il manto delle falde del tetto e della copertura a piramide, che cela l'estradosso della cupola, è a chiancarelle, piccole lastre di pietra calcarea proprie della tradizione locale. Se orientale è l'impianto, occidentale è la decorazione ad archetti su mensole, che profila con eleganza l'intero edificio; la facciata a capanna è animata da un portale lunato a doppia ghiera e da un rosoncino transennato, elemento comune agli altri prospetti. Nel breve spazio a ridosso del fianco sinistro della chiesa, sorgono tre sepolcri, due dei quali firmati da noti maestri pugliesi del XIII secolo, Farcitolo da Bari ed Anseremo da Trani, rispettivamente autori del monumento sepolcrale di Riccardo Falcone e dell'arca riservata ai bimbi della famiglia. Lapidi finemente iscritte trasmettono la memoria dei personaggi interessati dalle nobili sepolture; col nome di Riccardo, giovane, bello, ricco e virtuoso, apprendiamo i nomi dei magistrati Mauro e Basilio e, all'interno della chiesa, dell'abate Giacomo, canonico della cattedrale ed esperto cantore.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
La chiesetta è solitamente chiusa e le giornate FAI rappresentano un'occasione per visitarla ed ascoltarne la storia, oltre ad ammirarne la preziosa manifattura.

GIOVINAZZO – PRESENZA DOMENICANI NELLA SCENA URBANA

 GIOVINAZZO – PRESENZA DOMENICANI NELLA SCENA URBANA



La fabbrica settecentesca dei domenicani fondata sulla via per Bari tra le due antiche strade che portano a Bitonto e Terlizzi chiude, con l'imponente prospetto neoromanico della chiesa su scalinata a doppia rampa e l'annesso convento, il lato sud della piazza del primo nucleo insediativo extra moenia di Giovinazzo, dominando così la scena urbana che si è formalizzata nell'800 con la realizzazione, tra il XVIII e XIX secolo, delle quinte dei nuovi palazzi nobiliari al di fuori della città medievale.
Il convento con l'annessa chiesa in Giovinazzo, fondato nel 1703, fu l'ultimo dell'Ordine domenicano eretto nel Regno di Napoli prima della soppressione napoleonica. Tale fondazione avvenne in esecuzione delle ultime volontà di Giuseppe Buonomo, primicerio della Cattedrale. Il sito scelto per la costruzione del complesso "era elavato in mezzo a bella e ridente campagna" nei pressi della pubblica pescara fuori la città medievale. Il progetto della chiesa e del convento vennero affidati all'architetto bolognese Ludovico Vittorio Iacchini, anch'egli domenicano, e i lavori ebbero inizio dal 1704, (la data è infatti incisa su un concio di pietra della parete lato nord-est dei sotterranei) per poi proseguire sotto la direzione dell'architetto, converso domenicano, fra Antonio Cantalupi. Il convento fu completato nel 1745 e con la conclusione dei lavori murari si mise mano all'apparato decorativo con gli stuccatori milanesi i fratelli de Tabacco, mentre le scelte figurative vennero affidate alla bottega dei pittori locali Saverio e Giuseppe de Musso, padre e figlio che realizzarono tra il 1734 e 1748 la quadreria della chiesa con le pale degli altari presenti nelle cappelle laterali e le grandi tele ad olio nel transetto con episodi veterotestamentari. Alla prima metà del ‘700 è datata la bussola d'ingresso della chiesa con le ante centrali che raffigurano la "Cacciata dei Mercanti dal Tempio" probabilmente realizzata da Saverio de Musso. Nel 1770, dopo la conclusone dei lavori interni della chiesa, venne celebrata la prima messa. Con decreto del 9 luglio 1813 la chiesa, separata dal convento, fu eretta a parrocchia mentre il convento con decreto del 4 giugno 1818 fu destinato a ricovero di beneficenza. La facciata dell'intero complesso conventuale rivolta verso la piazza rimase incompleta fino al 1886 quando l'ingegnere barese Carlo Chiaia progettò una facciata in stile neoromanico smantellando l'impostazione incompiuta settecentesca del prospetto.
L'impianto della chiesa segue le prescrizioni dell'Ordine domenicano con la sua pianta a croce latina e le ampie cappelle laterali comunicanti tra loro fino al solenne transetto al cui incrocio si erge la cupola impostata su alto tamburo. L'interno è disegnato dalle partiture dagli stucchi che ne alleggeriscono l'imponente mole, mentre è arricchito dalla vena narrativa della quadreria realizzata dalla bottega de Musso chiamata dai domenicani per l'indubbia capacità comunicativa semplice e comprensibile per il popolo devoto. Gli arredi della chiesa si completano con le opere in legno, quali tutte le porte finemente intagliate e dipinte e finto marmo, con mostre dorate, la cui esecuzione fu affidata ad abili artigiani. Tra queste vi è il grande bussolone mistilineo d'ingresso, anch'esso policromo e con specchiature dipinte a finto marmo. La presenza della pala di Lorenzo Lotto del "San Felice in cattedra", realizzata nel 1542 e proveniente dall'omonima chiesa di Giovinazzo, costituisce un esemplare caso di studio e al contempo descrive una significativa testimonianza della pittura veneta in Puglia. Articolati e imponenti sono invece gli ambienti sotterranei corrispondenti alle fondazioni della chiesa tra cui la cripta sottostante la zona presbiteriale, da poco restaurata.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
L'apertura nelle Giornate FAI d'autunno permetterà di riconoscere le vicende legate alla definizione del disegno della facciata della chiesa a partire dai rilievi eseguiti dall'architetto giovinazzese Giuseppe Matropasqua nel 1828 e con le diverse ipotesi progettuali che si sono avvicendate nel tempo. Il visitatore sarà quindi accompagnato all'interno della chiesa con la quadreria della bottega de Musso e la pala del 'San Felice in cattedra', sino a percorrere gli ambienti che conducono alla cripta nella zona presbiteriale con il racconto dei recenti lavori di recupero e restauro da parte degli architetti impegnati nel cantiere.

MARGHERITA DI SAVOIA – LE SALINE

MARGHERITA DI SAVOIA – LE SALINE risalgono al III secolo a.C.



Le Saline di Margherita di Savoia si estendono per circa 4500 ettari complessivi sulla fascia costiera adriatica della Puglia settentrionale, tra il Golfo di Manfredonia a Nord e il porto di Barletta a Sud; rappresentano la più importante ed estesa salina di origine marina in Italia. La produzione del sale in questa area geografica è attestata sin dalla Preistoria e sicuramente in Età Romana, considerati i toponimi riportati sulla Tavola Peutingeriana. Il suo impianto attuale è il risultato di secoli di bonifiche, opere di ingegneria idraulica e non facili trasformazioni subite dall'originario lago costiero di Salpi, residuo di una insenatura marina tra le foci dei fiumi Ofanto e il Carapelle.
Nel XV sec le Saline, di proprietà borbonica, sorgevano sul lato meridionale dell'area lacustre soggetta a frequenti impaludamenti e abbassamento del livello delle acque. Diversi furono gli interventi di bonifica che tra '700 e '800 videro l'impegno di maestranze del calibro di Luigi Vanvitelli e Afan de Rivera. Dopo l'Unità d'Italia e nel corso del XX sec, seppure a fasi intermittenti, proseguono i lavori di bonifica grazie all'ausilio di impianti di idrovore, che restituiscono alla salina l'ampia area attuale. Negli anni '60 del Novecento si assiste ad una vera e propria rivoluzione tecnologica con cui si attua il passaggio dalla fase artigianale della produzione del sale, alla fase industriale, grazia anche all'introduzione della macchina raccoglitrice e alla specializzazione del lavoro dei salinieri.
Riconosciuta come Riserva Naturale di Stato, oltre ad essere un'eccezionale area produttiva, le Saline sono oggi l'habitat naturale di centinaia di specie di volatili e di piante autoctone, tra cui spiccano il Fenicottero Rosa e la Salicornia. Grazie alla Convenzione di Ramsar la Zona Umida delle Saline è attualmente un'area protetta.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Nella stessa area insiste la torre costiera cinquecentesca, detta Torre di Pietra, promossa come Luogo del Cuore FAI 2022. L'itinerario di visita partirà da Margherita di Savoia, proseguirà presso le vasche salanti ed evaporanti, quindi si concluderà con la visita a Torre di Pieta e al Museo della Salina.

CORATO – DOLMEN DEI PALATINI

 CORATO – DOLMEN DEI PALATINI



Il Dolmen dei Paladini si ubica in agro di Corato a confine con quello di Bisceglie. Si raggiunge da Bisceglie percorrendo la SP85 in 9 chilometri circa dalla uscita della 16 bis Bisceglie centro e da Corato proveniendo dalla SP 2 (Corato-Ruvo) fino a raggiungere l'incrocio con la SP 85 direzione Bisceglie. Esso è posto sugli ultimi balzi della bassa Murgia, circondato soprattutto da uliveti ed attiguo ad una cava di pietra in disuso, segni tangibili della trasformazione del paesaggio dovuta alla intensa attività umana con diverse connotazioni. L'itinerario partirà dall'ingresso sulla SP85 costeggiando la cava di pietra calcarea oggetto di approfondimento nel corso di illustrazioni e varie attività da parte dei collaboratori alla giornata, giungendo alla immersione in boschi di ulivo, attualmente coltivati da contadini attenti alla salvaguardia degli impianti vetusti e novelli, in un periodo di tragica esposizione alla minacciosa Xilella che tanto sta devastando il sud della Puglia, trasformando il paesaggio da florido a spettrale, commovente epilogo di una storia millenaria.
Conosciuto anche come Dolmen Colonnelle, dato il nome della contrada, e dei Giganti, esso è datato tra il terzo ed il secondo millennio avanti Cristo nella fase media dell'età del Bronzo. A poca distanza dal più noto Dolmen della Chiana in territorio di Bisceglie (sempre raggiungibile dalla stessa SP85) e gli altri nello stesso agro, con questi di inquadra come tipologia essendo una tomba a galleria. Oggetto di scavo dagli inizi del Novecento dal prof.Gervasio, poi dalla dott.ssa Radina ed in ultimo dal dott. Ruggiero, oggi si presenta leggibile pur dopo manomissioni umane in varie epoche. Ricoperto in origine da un tumulo ellittico di circa 16 metri con lastroni contornanti il corridoio di accesso e la cella unica presentante la ricopertura su tre lastre, con un masso di circa 8 tonnellate di peso; questo ha fatto nascere la leggenda della presenza di giganti, unici a poter sollevare massi di tali dimensioni, e tale leggenda, come afferma il Gervasio, ha concorso attraverso i secoli a salvare il monumento dalla distruzione (noi oggi aggiungiamo, in minima parte).
La peculiarità è il suo uso funerario e, come gli altri, la posizione su punti particolari del territorio e la loro monumentalità. Orientato verso Est, catturando i primi raggi del sole nel corridoio, unisce il monumentale segno di morte a quello di contatto con la vita, dato anche dalla forma uterina del suo interno, quasi, in maniera suggestiva, a riportare il defunto deposto nel grembo materno della terra, ma a ricevere vita dal sole che nasce.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Un info point gestirà la partecipazione dei visitatori, dando indicazioni anche per l'eventuale prosecuzione di visita ad altri monumenti presso i territori confinanti

LOCOROTONDO – GIARDINO ALL’ITALIANA, NEVIERA DEL BARONE E CANTINA DELLA SCUOLA

 LOCOROTONDO – GIARDINO ALL’ITALIANA, NEVIERA DEL BARONE E CANTINA DELLA SCUOLA



Il giardino di Masseria Ferragnano è adiacente al corpo masserizio noto oggi come masseria Ferragnano. Le origini della masseria risalgono al 1500, in seguito alla liquidazione da parte della Regia corte del territorio della Selva Monopolitana, di cui Locorotondo faceva parte. Alla morte dell'ultimo erede la masseria Ferragnano passò all'Opera Pia Basile-Caramia. Con i soldi dell'Opera Pia fu costruita la scuola agraria, per istruire I figli degli agricoltori poveri del Comune di Locorotondo.
Nel 1811, sotto la direzione dell'architetto locorotondese Giuseppe Campanella, vennero rinnovati la casa padronale con l'attuale scalone monumentale, la chiesa del 1812 e il “giardino all'italiana”, in fondo al quale fu costruito, nel 1833, un padiglione-belvedere da cui ammirare la campagna circostante e il campanile della Chiesa di San Giorgio, a quell'epoca rivestito di luccicanti mattonelle azzurre.
Il giardino della Masseria Ferragnano è un Giardino Monumentale all'Italiana, a pianta rettangolare, circondato da un lato da un alto muro di recinzione, con due ingressi laterali. Sono presenti otto aiuole, perfettamente simmetriche, circondate da siepi di bosso, al centro delle quali è presente una fontana. Lungo i viali, il giardino è abbellito da panche, colonnati, una coppia di putti e 34 busti lapidei baroccheggianti che simboleggiano i mesi dell'anno, le stagioni, le virtù e alcune dee. Rendono ulteriormente prezioso il giardino alcuni versi incisi su pietre e marmi.
COSA SCOPRIRETE DURANTE LE GIORNATE FAI?
Il percorso proposto parte della Masseria Ferragnano e si sviluppa in tre ambienti diversi. Il giardino all'italiana sarà la prima tappa: la scoperta di questo scrigno sarà a cura dei Ciceron@ dell'IISS "Basile Caramia - Gigante" e dell'associazione "Valle d'Itria Bonsai" che lo cura quotidianamente. La visita proseguirà alla scoperta della "Neviera del Barone": una struttura a "cummersa", l'architettura tipica locale, risalente a prima del 1600 e profonda 12 metri. Al suo interno il CRSFA "Basile Caramia" ha allestito una mostra permanente sulla produzione del vino in Valle d'Itria. Saranno i referenti del CRSFA "Basile Caramia" ad accogliere i partecipanti e ad illustrare gli antichi strumenti della vinificazione. La visita guidata si concluderà nella Cantina della Scuola Agraria: in pietra locale, i locali custodiscono le caratteristiche botti per la conservazione del vino. Qui ci sarà una degustazione guidata dei prodotti della Museo Diffuso della Biodiversità a cura dell'ITS per l'Agroalimentare e dei vini della scuola a cura degli insegnati dell'IISS "Basile Caramia-Gigante".