giovedì 3 gennaio 2019

Castel del Monte (Andria)


Quando l’imperatore Federico II costruì questo castello nei pressi di Bari nel 13 ° secolo, lo impregnò di significato simbolico, come riflesso nella posizione, nella precisione matematica e astronomica della pianta e nella forma perfettamente regolare. Un pezzo unico di architettura militare medievale, Castel del Monte è un riuscito mix di elementi dell'antichità classica, l'Oriente islamico e il gotico cistercense nord europeo.



Sintesi breve

Castel del Monte, situato nel comune di Andria, sorge su una collina rocciosa che domina la campagna circostante della Murgia nel sud Italia vicino al mare Adriatico. Un pezzo unico di architettura medievale, fu completato nel 1240. La posizione del castello, la sua perfetta forma ottagonale, così come la precisione matematica e astronomica del suo layout riflettono l'ampia cultura e visione culturale del suo fondatore, l'imperatore Federico II.
Come leader dell'umanesimo moderno, l'imperatore germanico riunì nella sua corte studiosi provenienti da tutto il Mediterraneo, unendo le tradizioni orientali e occidentali. Il design unico del castello, una pianta ottagonale con torri ottagonali ad ogni angolo, rappresenta la ricerca della perfezione. Le caratteristiche interne riflettono influenze orientali, come l'innovativa installazione idraulica utilizzata da Federico II per fare il bagno secondo le usanze arabe tipiche.
Il sito è di eccezionale valore universale nella sua perfezione formale e nella sua armoniosa fusione di elementi culturali del nord Europa, del mondo musulmano e dell'antichità classica. Castel del Monte è un capolavoro unico di architettura medievale, che riflette le idee umanistiche del suo fondatore, Federico II di Hohenstaufen.
1) Data la sua perfezione formale e la fusione armoniosa di elementi culturali del nord Europa, del mondo musulmano e dell'antichità classica, Castel del Monte è un capolavoro unico di architettura militare medievale che riflette le idee umanistiche del suo fondatore, Federico II di Hohenstaufen .
2) Inseparabilmente legato a Federico II di Hohenstaufen, l'edificio di Castel del Monte illustra lo spirito cosmopolita dell'Imperatore che riunì studiosi greci, arabi, italiani ed ebrei nella sua corte di Palermo. Questo lo designa come uno dei precursori dei moderni umanisti.
3) Simbolico della politica mediterranea di un imperatore germanico nato a Iesî, allevato in Sicilia e attratto in età molto precoce dal mondo orientale, Castel del Monte unisce elementi intellettuali e morali delle grandi civiltà mediterranee in una creazione.


La sua origine

La nascita dell’edificio si colloca ufficialmente il 29 gennaio 1240, quando Federico II ordinò che venisse predisposto tutto il necessario per la sua costruzione, sebbene molti studiosi non concordino con questa idea né condividano l’attribuzione a un preciso architetto: non si sa se a ideare la costruzione fu Riccardo da Lentini o lo stesso Federico II.

Un’antica leggenda ne fa risalire l’origine a un’iscrizione riportata in un antico tempio. Qui, narra la tradizione, c’era una statua sul cui capo era riportata la seguente frase: “Il mio capo è di bronzo ma a levar del sole a calendi di maggio sarà d’oro”. Un giorno un saraceno risolse l’arcano e il primo giorno di maggio, al sorgere del sole, iniziò a scavare dove cadeva l’ombra della statua, risalendo a un antichissimo e ricchissimo tesoro, con il quale fu costruito il castello.
Nelle strutture di Castel del Monte, con il suo perfetto disegno geometrico che ricorda un intricato òabirinto, si possono rinvenire ancora le tre impronte lasciate dall’imperatore federico II. La prima è riscontrabile nella sesta sala dove, quasi nascosto da un gioco di luce, è scolpito un giglio con 3 foglie e uno stelo. Dubbio è invece il riferimento alla somma degli otto lati su cui poggiano i muri perimetrali e dei restanti 48 piccoli lati delle torri, che fanno un totale di 56, come gli anni di vita dell’Imperatore.
Un altro elemento di osservazione è quello dell’ingresso del castello, caratterizzato da un imponente portale costituito da 2 colonne e da 2 leoni, il primo con lo sguardo rivolto verso il sorgere del sole al solstizio d’inverno e  il secondo con lo sguardo rivolto nella direzione del sorgere del sole nel solstizio d’estate. Con l’impressione, a chi si avvia per l’uscita, di non poter mai dare le spalle alla struttura.

Se immaginassimo, infine, il portale tagliato in due parti da una linea verticale, apparirebbe sul lato sinistro il terzo elemento: una grande “F”, quella di Federico II di Svevia, una figura ancora oggi avvolta dal mistero.

Integrità

L'integrità del sito è stata protetta, in parte, a causa del fatto che il castello non ha subito alcuna alterazione strutturale significativa. Gli elementi decorativi interni in marmo e mosaico, tuttavia, si sono deteriorati e in molti casi sono stati rimossi.
Il perimetro della proprietà comprende il castello, che sorge solitario in cima alla sua collina, e un'immensa area protetta intorno al castello che è soggetta alla protezione del paesaggio e fornisce un'efficace zona cuscinetto. Nel loro insieme, le due aree rappresentano pienamente la natura eccezionale del sito, alcune caratteristiche sono di tipo monumentale e in ottimo stato di conservazione, mentre altre sono più percettibili e, considerate insieme all'ambientazione fisica, garantiscono l'integrità complessiva.

Autenticità

Castel del Monte non ha subito alcuna modifica strutturale, il che le ha permesso di mantenere l'autenticità in una serie di aree principali. L'ambientazione del castello è invariata poiché si trova ancora su un picco roccioso che domina il paesaggio circostante. La sua forma ottagonale originale e il design degli interni sono stati mantenuti. In termini di materiali da costruzione, la struttura esterna in blocchi di pietra calcarea è intatta mentre l'interno è stato degradato dalla rimozione o decadimento della sua decorazione in marmo e mosaico. Inoltre due sculture originali si trovano nella Pinacoteca di Bari. Tuttavia, ci sono stati pochi interventi successivi. Il lavoro di conservazione dal 1878 è stato di buona qualità e coerente con gli standard italiani. Quindi l'autenticità del monumento è alta.

Requisiti di protezione e gestione   
            
Il monumento è stato acquistato dallo Stato italiano nel 1876 ed è protetto da diverse leggi statali. Ai sensi della legge n. 1089/39 relativa al patrimonio artistico, archeologico e culturale dello Stato italiano, è stato dichiarato di grande importanza artistica e storica dal decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 1978. Il paesaggio di un'ampia area attorno al castello, che coincide con la zona cuscinetto (10.847,3 ettari), è protetta da un altro decreto ministeriale ai sensi della legge 1497/1939, integrata nella legge nazionale " Codice dei beni culturali e del paesaggio " che riguarda la tutela eredità culturale.
La gestione del monumento è nelle mani della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia. Questo ufficio periferico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo. è responsabile per la manutenzione e la tutela del monumento, che è aperto ai visitatori. Svolge anche i lavori di conservazione appropriati, la cui scala e natura dipendono dalle risorse finanziarie disponibili.


Cenni storici.
Carenti le notizie sulle origini del castello. Solo una lettera inviata da Gubbio, nel gennaio 1240, dall'imperatore svevo Federico II al giustiziere di Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, ci parla di lavori di copertura da eseguire in relazione al «castro quod apud Sanctam Mariam de Monte». Successivamente l’edificio ha assunto i ruoli di prigione e di residenza ducale. Passato attraverso varie dominazioni e proprietà di diversi signori, per lungo tempo, dopo ripetuti saccheggi e spoliazioni, è stato rifugio di pastori e di ladroni (specialmente nel secolo XVIII). Acquistato come rudere dallo Stato italiano nel 1876 per 25.000 lire, da allora è stato sottoposto a continui restauri; i più recenti ne hanno recuperato l’antico splendore.
Interpretato di volta in volta come castello di caccia, osservatorio astronomico, tempio laico costruito dal sole, modello in scala della piramide di Cheope, contenitore di enigmi e misteriosi segreti (addirittura il Graal!), e via immaginando, negli ultimi decenni ha conosciuto numerosi quanto discutibili saggi magico-esoterici. Inutile ribadire che, letto sulla base di una rigorosa metodologia storica, il castello rivela la sua natura di maniero medievale, ricco di simboli (la rappresentazione in pietra della corona ottagonale degli Svevi ne è il più evidente) e di funzioni, certamente fascinoso, ma pur sempre un castello.
Prontuario contro gli stereotipi e le interpretazioni fanta-esoteriche del castello
È vero che Castel del Monte, non avendo fossato, ponte levatoio, stalle, cucine, prigioni, merli (sic!), opere di difesa, non è un castello ma qualche altra misteriosa struttura, ad esempio un tempio laico?
Falso. Molti altri castelli pugliesi del Duecento non avevano il fossato (tra i tanti, quello di Bari), e comunque Castel del Monte, lo affermano i documenti coevi, era difeso almeno da un muro di cinta, e nello spazio compreso tra quest'ultimo e il castello erano presenti strutture in legno (le stalle, ad esempio), materiale deperibile: perciò quelle strutture non sono giunte sino a noi. Il ponte levatoio? Sulla collina murgiana, che senso avrebbero avuto un fossato e un ponte levatoio? Comunque il portale di Castel del Monte presenta ancora, in alto, la fessura per una grata mobile di difesa. Le cucine? Ogni stanza dotata di camino serviva a cucinare. Le prigioni? Lo è stato a lungo lo stesso castello. I merli? In Puglia, nel Duecento, quale altro castello li aveva? Infine, castrum Sanctae Mariae de Monte è chiamato il castello sin dalla sua nascita, e castrum in quel periodo significa appunto castello. E nessun castello medievale ha mai avuto, in pratica, solo funzioni militari e difensive: il nostro castello svolgeva tutta una serie di funzioni, da quella di controllo del territorio, a quella di rappresentazione simbolica del potere (appunto, l'ottagono simbolizza la corona imperiale degli Hohenstaufen).
Non è strano che, nelle torri del castello, il senso di salita sulle scale a chiocciola sia il contrario di quello tradizionale?
Falso. Si sale in quel senso anche in molti altri castelli, compreso quello di Bari.
È vero che Castel del Monte è un ottagono perfettamente regolare?
Falso. Non lo è assolutamente (anche se a noi appare perfettamente regolare e armonico, ma questo dimostra appunto la genialità dei costruttori), e non semplicemente per qualche centimetro di differenza tra i vari lati e ambienti della struttura, ma in alcuni casi anche per qualche metro. Risultato? Non è possibile inscrivere un ottagono irregolare in una circonferenza, dunque tutte le teorie fondate su numeri ottenuti a partire dalla tesi della perfetta geometria del castello non hanno senso.
È vero che l'ombra proiettata dalla parete sud di Castel del Monte nei giorni dell'equinozio, a mezzogiorno, raggiunge nel cortile la base della parete opposta?
Falso. Lo smentiscono le attuali misure delle pareti del castello, del tutto diverse da quelle dichiarate da chi sostiene la "tesi delle ombre" (o "dello gnomone"). L'altezza della parete sud è stata accresciuta da un parapetto aggiunto successivamente: anche togliendo questo parapetto, che certo il castello non aveva nell'età di Federico II, l'altezza della parete risulta diversa da quella calcolata dai fautori della tesi delle ombre. Analogamente, la lunghezza reale del cortile non è quella calcolata da chi sostiene quella tesi. In sostanza, la tesi delle ombre - costruita a tavolino modificando secondo convenienza i dati reali - non regge ad una verifica puntuale dei dati e delle misure reali del castello.
È vero che Castel del Monte è stato costruito come una sorta di "modello in scala" della piramide di Cheope?
Assolutamente falso. Nel Duecento non si conoscevano le misure reali della piramide di Cheope.
È vero che Castel del Monte si trova sulla linea ideale che congiunge la cattedrale di Chartres a Gerusalemme e al tempio di Salomone?
Non è vero. Unendo la cattedrale di Chartres a Gerusalemme si ottiene una linea che, anche sulle mappe duecentesche, non passa dalla Murgia barese, ma dal golfo di Manfredonia: non risulta che Castel del Monte sia stato costruito in mare aperto...
È vero che nel cortile di Castel del Monte, su una parete, c'è una scritta (indicata da certe guide come un "criptogramma" di difficile decifrazione) che avrebbe fatto o ordinato Federico II per indicare che lui ha voluto costruire quella struttura per difendere il mondo dal diavolo?
Assolutamente falso. Quel testo è decifrabile da ogni esperto di paleografia, di epigrafia, di latino e di storia; non ha nulla a che vedere con figure diaboliche; è stato scritto in grafia cinquecentesca (Federico II conosceva in anticipo, già nel Duecento, le forme grafiche che sarebbero state usate tre secoli dopo, nel Cinquecento?); è datato 1566, ed è stato scritto da un noto magister di Barletta, chiamato in quel periodo con la sua impresa edile a restaurare il castello (ci sono due scritte analoghe nelle stanze superiori del castello). Insomma, il presunto criptogramma è il parto di una fantasia senza freni, che beatamente ignora la storia del castello e della scrittura.
È vero che spesso, negli ambienti di Castel del Monte, cessano di funzionare cineprese, macchine fotografiche e strumenti analoghi, a causa di una misteriosa forza che promana dal castello?
Come no? Purtroppo, a smettere di funzionare, talvolta, è qualche cervello umano.
È vero che Castel del Monte è stato costruito per custodire il Graal?
Sciocchezze. Il Graal è una "stupenda invenzione letteraria" (lo sostengono tutti gli storici), contesa per altro da molte altre località europee.
«Castel del Monte - Andria (Puglia), il più celebre fra i castelli svevi, è stato riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco nel 1996.
L'unico documento di età federiciana pervenuto è un mandato del 29 gennaio 1240 con cui l’imperatore, da Gubbio, ordinava a Riccardo da Montefuscolo, giustiziere di Capitanata, di acquistare calce, pietre e quant’altro necessario per la costruzione del castello sito presso la chiesa di S. Maria del Monte (ormai distrutta) e di procedere con sollecitudine riguardo ai lavori.
Nonostante l’incerta interpretazione del termine latino actractum, usato da Federico II nel documento e riferibile sia a lavori di fondazione che ad un lastrico di copertura, gran parte della critica tende a ritenere che nel 1240 i lavori fossero a buon punto, almeno in relazione alla struttura architettonica, tenuto conto del fatto che non fu presumibilmente brevissimo il tempo necessario a realizzare una struttura tanto particolare e che la raffinatezza del repertorio decorativo doveva legarsi alla forte personalità del committente, morto già nel 1250.
Caduti gli svevi, Carlo d’Angiò, subentrato agli Hohenstaufen nel Regno di Sicilia, utilizzò proprio questo castello per tenervi prigionieri i nipoti di Federico II dopo la morte di Manfredi, figlio illegittimo dell’Imperatore, morto nel 1266 combattendo appunto contro gli angioini.
Passato quindi agli aragonesi ed agli spagnoli, il castello, poi annesso al ducato di Andria, dal 1552 appartenne ai Carafa, duchi di Andria e Ruvo.
Poco utilizzato se non per i periodi estivi, Castel del Monte fu preda di un progressivo abbandono per la perifericità della sua posizione.
In stato di estremo degrado, nel 1876 fu acquistato dallo Stato Italiano che avviò una lunga serie di complessi interventi di conservazione e restauro, conclusi alla metà degli anni ottanta del ‘900. Gestito dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia, è da tempo il monumento più visitato della Puglia.
Il numero otto e la forma ottagonale rappresentano gli elementi caratterizzanti di Castel del Monte che rappresenta un ganglio essenziale della rete castellare sveva.
Costruito direttamente su un banco roccioso, in alcuni punti ben visibile, il castello si presenta come un ottagono sui cui spigoli si innestano otto torri di uguale forma, in cui si aprono sottili feritoie, mentre le cortine murarie intermedie presentano al piano inferiore otto monofore a tutto sesto ed al primo sette bifore ed una sola trifora, rivolta verso Andria, nella parete a Nord.
Al pianterreno, lungo l’asse Est-Ovest, si aprono due portali; quello principale, in breccia corallina, è affiancato da due paraste scanalate con capitelli a crochet, a sostegno di un architrave e di un timpano spezzato di gusto classico, mentre della coppia di leoni posta in alto, di chiara eco romanica, si conserva solo il destro.
Il cortile ottagonale interno, come tutto l’edificio, è caratterizzato dal contrasto cromatico derivante dall’utilizzo di breccia corallina, pietra calcarea e marmi; un tempo erano presenti anche antiche sculture di cui restano solo la lastra raffigurante il Corteo dei cavalieri ed un Frammento di figura antropomorfa.
Tutte le sedici sale (otto per ciascun piano), a pianta trapezoidale, presentano nella campata centrale quadrata, coperta da crociera costolonata, chiavi di volta, diverse fra loro, decorate da elementi antropomorfi, zoomorfi e fitomorfi.
Tre scale a chiocciola, inserite in altrettante torri, collegano i due piani del castello; nelle altre torri sono stati ubicati i bagni e alcune cisterne per la raccolta delle acque piovane
Grandissimo interesse riveste il corredo scultoreo che, sebbene fortemente depauperato, fornisce una significativa testimonianza dell’originario apparato decorativo, un tempo caratterizzato anche dall’ampia gamma cromatica dei vari materiali impiegati, dalle tessere musive alle piastrelle maiolicate, alle paste vitree.
Particolarmente pregevoli le mensole antropomorfe ei sei telamoni, visibili in due delle torri scalari, ed un frammento del mosaico pavimentale nell’VIII Sala a piano terra.
Uno degli argomenti più discussi dagli studiosi a proposito di Castel del Monte riguarda la sua destinazione d’uso.
Sebbene privo degli elementi propri dell’architettura militare medievale, come fossato o caditoie, il castello era comunque in grado di svolgere una funzione difensiva all’interno del complesso sistema castellare realizzato da Federico II nell’ambito della riorganizzazione del Regno di Sicilia.
Castel del Monte, infatti, pur nell’ unicità della sua configurazione planimetrica e formale e nella raffinatezza del repertorio decorativo, appare maglia essenziale nel collegamento visivo e tattico tra i nuclei difensivi della costa (Castelli di Barletta, Trani, Bisceglie e torri di avvistamento) e quelli dell'interno (Castelli di Canosa, del Garagnone di Gravina, di Melfi e Lagopesole).
È tuttavia altrettanto evidente che l’edificio sia stato concepito anche per assolvere un ruolo rappresentativo e simbolico del potere imperiale, così sentito da Federico II in tutte le sue scelte politiche, giuridiche, artistiche.
La grande visibilità del castello ne faceva una vera e propria corona di pietra, capace di stupire ed insieme incutere timore e rispetto sia ai sudditi che ai nemici, evidenziando la potenza del suo committente.
Di fatto la forma ottagonale, carica di significati simbolici perché era quella della Cappella Palatina di Aquisgrana, luogo dell’incoronazione degli imperatori, della città santa di Gerusalemme, il numero otto, la coesistenza di elementi architettonici e decorativi attinti ad ambienti culturali profondamente diversi (classico, romanico, arabo, gotico) eppure armonicamente fusi, fanno davvero di Castel del Monte un edificio pressoché unico al pari di Federico II, figura carismatica per la poliedricità dei suoi interessi culturali».

Dimensioni
L’edificio ha pianta ottagonale (lato esterno: 10,30 m intervallo tra le torri più diametro di ogni torre: 7,90 m) e ad ogni spigolo si innesta una torretta a sua volta ottagonale (lato 2,70 m), mentre l’ottagono che corrisponde alla corte interna ha lati la cui misura varia tra i 6,89 m e i 7,83 m. Il diametro del cortile interno è di 17,86 m. Il diametro dell’intero castello è di 56 m, mentre il diametro di ogni torre è di 7,90 m. Le torri sono alte 24 m e superano di poco l’altezza delle pareti del cortile interno (20,50 m).

Interno

Lo spazio interno è suddiviso in due piani, rialzati rispetto al piazzale antistante di 3 e 9,5 metri rispettivamente. Le stanze, trapezoidali, sono divise da muri che congiungono gli spigoli dell’ottagono interno e gli spigoli di quello esterno, dove si impostano le omologhe torri.
Il problema della copertura delle stanze è risolto scomponendo il trapezio iniziale in un quadrato centrale e due triangoli laterali. Il quadrato centrale viene coperto da una volta a crociera, mentre i due triangoli laterali sono sovrastati da due spicchi di volta a botte per ciascuna stanza. Al centro di ogni volta a crociera, nell’intersezione tra i costoloni, fuoriesce dall’intradosso una chiave di volta estradossata diversa per ogni stanza. I costoloni non hanno una funzione di portanzastatica, ma hanno esclusiva funzione decorativa. Le volte a botte sono costruite seguendo l’andamento dei muri esterni relativi a quella parte della costruzione. Per quanto adiacenti, i due tipi di volte utilizzate sono completamente indipendenti: nell’intersezione tra le stesse, infatti, si può notare come l’orditura presenti una discontinuità, provocata da una sfasatura nella composizione delle due coperture contigue.
Il piano di imposta della volta è sottolineato da una cornice, ripresa anche nel capitello sopra le colonne portanti.
La comunicazione tra il piano inferiore e quello superiore è assicurata dalla presenza, non in tutte le otto torri, delle scale a chiocciola. Le scale si sviluppano secondo un senso antiorario e constano di 44 gradini trapezoidali che si dipartono, ognuno in un unico masso lapideo, da una colonna centrale del diametro di circa 22 centimetri.
Il piano superiore, per quanto ricalchi la struttura del piano inferiore, si presenta più raffinato e curato: i costoloni che sorreggono le volte sono più slanciati, ed ogni sala è vivacemente illuminata dalla presenza delle finestre bifore o, in un caso, trifora. La particolarità di queste finestre è la presenza di gradini e di sedili che le fiancheggiano. Lungo le pareti di ogni sala corre un sedile al di sotto della base delle colonne.
Degno di particolare attenzione, all’interno del castello è il marchingegno di manovra dell’antica saracinesca di chiusura del portale principale, visibile con tutti i cavedi necessari, all’interno della muratura portante, per lo scorrimento delle catene che lo sostenevano.

Esterno

Il portale di ingresso principale si apre sulla parete della struttura ottagonale orientata esattamente ad est, vale a dire di fronte al punto in cui sorge il sole in coincidenza degli equinozi di primavera e d’autunno. Ad esso si accede attraverso due rampe di scale simmetriche, disposte a tenaglia ai lati dell’ingresso, ricostruite nel 1928.
A differenza del semplice ingresso secondario dalla parte opposta (orientata a ponente) dell’edificio (costituito da un semplice portale ad arco a sesto acuto), l’ingresso principale è decorato con due colonne scanalate che sorreggono un finto architrave su cui si imposta un frontone di forma cuspidale.
Ogni parete presenta due finestre: una monofora in corrispondenza del primo piano ed una bifora per il secondo piano, non sempre in asse tra loro. Da questa regola si discostano le facciate orientale ed occidentale (quelle in cui sono posti i due portali) che non presentano la monofora, e la facciata settentrionale, che presenta unatrifora per il secondo piano. Ulteriori feritoie sono presenti sulle torri, per dare luce alle scale a chiocciola interne.
Dal punto di vista strutturale è importante notare come le mura tra le torri si ergano direttamente dal terreno, mentre le torri presentano uno zoccolo, messo in risalto nella parte superiore da una cornice in stile gotico.
Ad ulteriore prova della perfezione strutturale dell’edificio si può notare come le tangenti ai lati del cortile interno si incontrano precisamente al centro delle torri ottagonali.

Cortile interno

Nel cortile interno la compattezza delle mura è attenuata solo dalla presenza di tre ingressi nella parte inferiore e tre “porte finestre” nella parte superiore. La sensazione all’interno del cortile è che tutto il primo piano funga da zoccolo per il piano superiore, alleggerito dalla presenza di archi ciechi.
Si pensa che al centro di questo cortile in precedenza ci fosse una vasca anch’essa ottagonale, costituita da un unico blocco di marmo (come descritto dal Troyli nel 1743) che secondo la leggenda doveva rappresentare il Sacro Graal rimasto per un periodo all’interno di questo castello.
Sotto la vasca, al centro del cortile, al di sotto del piano di calpestìo è presente una grande cisterna per la raccolta delle acque piovane, aspetto tenuto in gran conto in questo edificio tanto che erano presenti altre cinque cisterne di raccolta all’interno delle torri. Tuttavia attualmente quella al di sotto del cortile interno è l’unica funzionante.
Le alte pareti da cui è formato il cortile interno danno l’idea di trovarsi all’interno di un pozzo che, nella simbologia medioevale rappresentava la conoscenza.

Decorazione

La decorazione dell’edificio, in origine assai ricca ma oggi quasi del tutto scomparsa, si segnala per le chiavi di volta dei costoloni, decorate con creature mitologiche e motivi vegetali, caratteristici del realismo della tarda scultura sveva, di ispirazione romaneggiante (come il Busto di Barletta). Architettura e scultura tradiscono influenze dell’edilizia francese e di quella cistercense.
Ricche cornici in porfido decorano le porte.
La struttura è composta principalmente da tre diversi materiali, la cui disposizione non è casuale ma è studiata per l’effetto cromatico che ha nell’osservatore:
·        la pietra calcarea è sicuramente il materiale preponderante, dal momento che di questo materiale sono composte tutte le strutture architettoniche ed alcuni elementi decorativi. Questo materiale dona alla costruzione una colorazione che va dal bianco al rosato, a seconda del periodo del giorno in cui si osserva l’edificio;
·        il marmo bianco o con leggeri venature, oggi presente solo in rare decorazioni nelle sale, doveva rappresentare in passato il materiale di cui era costituito tutto l’arredo e le decorazioni dell’edificio;
·        la breccia corallina, che dona un’importante nota di colore alla struttura. In passato l’effetto della breccia corallina doveva essere più marcato, dal momento che tutti gli ambienti erano rivestiti di lastre di questo materiale.
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La storia
Le notizie storiche relative alla costruzione di Castel del Monte sono limitate ad un solo documento: la lettera del 29 gennaio 1240, con il quale l’imperatore Federico II di Svevia, figlio di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla, ordinava al Giustiziere di Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, di raccogliere il materiale necessario per la costruzione del castello, situato presso la chiesa (oggi scomparsa) di Sancta Maria de Monte. Fino alla morte di Federico II non vi sono altri documenti, tant’è che non è neppure storicamente accertato che il castello sia stato completato e che l’Imperatore lo abbia mai visitato.
Dopo il 1268, anno della definitiva sconfitta degli Svevi in Italia, Carlo I d’Angiò vi fece imprigionare i figli di Manfredi, Federico, Enrico ed Enzo, dando inizio all’uso improprio cui il castello fu oggetto per secoli. Escludendo, infatti, il breve periodo comprendente la prima metà del XIV secolo, in cui gli angioini lo utilizzarono come residenza – tra l’altro vi si celebrarono le nozze, nel 1308, tra Beatrice D’Angiò, nipote di Roberto, e Bertrando del Balzo e, nel 1326, tra Umberto de la Tour du Pin e Maria del Balzo – il castello fu ancora prigione durante il regno di Giovanna II e durante la discesa degli Ungheresi nel 1350. Passato agli Aragonesi prima e agli Spagnoli poi, fu venduto nel 1552 ai conti Carafa di Ruvo, che lo utilizzarono prima come “villa”, per poi abbandonarlo, considerato il suo isolamento. In occasione della terribile peste del 1656 fu utilizzato come rifugio da alcune nobili famiglie di Andria, ma dal XVIII secolo rimase pressoché incustodito, divenendo rifugio di pastori e di briganti e “cava” di materiali preziosi: in questo periodo il castello fu, infatti, spogliato dei marmi e dei rivestimenti tant’è che oggi resta solo la struttura muraria (ancorchè splendida) dell’edificio.
Acquistato nel 1876 dallo stato italiano per £ 25.000, “non già come prezzo (chè niuno il fabbricato ne vale) ma come semplice attestato di riconoscenza” alla famiglia che per secoli l’aveva tenuto,esso è stato oggetto di continui studi e restauri che si sono protratti sino ai giorni nostri. I lavori di restauro più significativi, però, iniziarono solo nel 1928, fino ad arrivare agli ultimi lavori della fine degli anni settanta del secolo scorso. Nel 1996, per le sue caratteristiche uniche, è stato inserito dall’UNESCO nel patrimonio mondiale dell’umanità. 

L’architettura
Castel del Monte, ubicato nel territorio di Andria, si innalza, in uno splendido isolamento, su un’altura a 540 metri s.l.m., di cui sembra la naturale conclusione, visibile da gran parte delle città costiere di terra di Bari e dal Gargano e rappresenta, nella commistione di stili che vanno dalle influenze arabo-normanne a quelle classiche, romaniche e gotiche, la costruzione più affascinante fra tutte quelle volute da Federico II e tra le più interessanti mai create dell’uomo. 
La costruzione si presenta come un massiccio poligono a pianta ottagonale, con otto sale trapezoidali a piano terra e altrettante a primo piano; negli angoli sono presenti otto torri, anch’esse ottagonali. Le torri sono dotate di numerose feritoie disposte in modo asimmetrico. L’intero perimetro esterno è caratterizzato da una cornice marcapiano che corre in corrispondenza del primo piano. Ogni parete dell’edificio compresa tra due torri è dotata di due finestre: una monofora a tutto sesto a piano terra (tranne che sui lati est ed ovest occupati dall’ingresso principale e da quello secondario) e una bifora a primo piano (tranne che sul lato nord, in direzione di Andria, ove è presente una trifora).
Il lato est dell’edificio è occupato dall’imponente portale principale, cui si accede tramite una scala con due braccia simmetriche, ricostruite nel 1928 sui resti di quelle originarie rinvenute a seguito dei restauri. Il portale è costituito da due esili pilastri scanalati e abbelliti da capitelli che reggono un finto architrave sul quale, a sua volta, si innesta un timpano cuspidato. Sul lato ovest opposto a quello principale si trova un ingresso secondario costituito da un archiacuto privo di decorazioni.
All’interno dell’edificio si apre il cortile, massiccio e compatto, anch’esso ovviamente ottagonale: esso ha subito gravi alterazioni perché sono andati completamente perduti la grande vasca in marmo in unico pezzo presente nel suo centro (descritta dal Troyli nel 1743 ) ed il camminamento esterno in legno a primo piano (che girava all’intorno) di cui restano solo alcuni gattoni in pietra, che probabilmente sorreggevano le travi in legno..
Tutte le murature sono in pietra calcarea mentre modanature, portali, elementi decorativi interni sono in “breccia corallina”, che ricopriva interamente le pareti di piano terra, mentre quelle di primo piano erano rivestite da lastre di marmo di cui restano tracce in aderenza alle colonne trilobate e dei capitelli, anch’essi in marmo. La magnificenza degli interni era completata da mosaici a pavimento (di cui restano tracce nella sala n. 8 di piano terra) e, probabilmente, sulle volte. 
Imponente, anche, l’apparato “tecnologico” di cui il Castello è dotato. Ai diversi piani sono presenti i servizi igienici, con relative tubazioni di scarico afferenti ai canali verticali terminanti in pozzi neri, le cisterne pensili (ben cinque!) realizzate nelle torri tra la copertura degli stanzini ed il piano di copertura, camini, tubazioni in cotto ed in pietra e così via.
Particolarmente curata la raccolta e la regimentazione delle acque piovane, in parte indirizzate nelle cisterne pensili (oggi disattivate), in parte nella grande cisterna (ancora attiva) presente sotto il piano di calpestio del cortile interno.
Da guardare con attenzione
Castel del Monte rappresenta l’edificio più affascinante e misterioso tra quelli edificati da Federico II, tant’è che la sua originaria destinazione continua ancora oggi a suscitare studi e ricerche: dubbia la sua destinazione a “castello” nel senso proprio del termine (anche se recenti studi la hanno autorevolmente rilanciata), negate da tempo le ipotesi che lo volevano “dimora di caccia” o “luogo di delizie”, discutibili e comunque indimostrate le ipotesi che indicano in questo monumento un luogo esoterico dedicato ai misteri iniziatici dell’Oriente o dei Templari, o ancora propongono connessioni con le grandi architetture del passato (dalla piramide di Cheope alla Cattedrale di Chartres). Non vi è dubbio che la sua architettura è il risultato complesso di una serie molteplice di elementi: l’ossessiva presenza del numero 8 (simbolo nella tradizione cristiana dell’unione dell’infinito con il finito, la somma dei giorni della creazione con quello della resurrezione), ai dati astronomici e ai rapporti geometrici, l’uso di quanto scienza e tecnica all’epoca consentissero, l’architettura e la decorazione, tutto è finalizzato a realizzare un edificio comunque “unico” nella cultura dell’epoca.
In tale ottica, superando le visioni specialistiche con cui esso è stato di volta in volta studiato per riconsiderarlo nella sua unità complessiva, il Castello appare, indipendentemente dal suo uso, come vera e propria rappresentazione fisica della potenza e della cultura della Corte Sveva e del potere imperiale.
Da qui l’ulteriore ipotesi – solo apparentemente riduttiva – di edificio destinato a residenza dell’imperatore, anzi “la residenza ideale”, in cui ogni elemento, dal valore dei più minuti particolari tecnologici e architettonici alla qualità di segno forte e visibile sul territorio, appare progettato come monito e segnale ai potenti e ai sudditi, ma anche come luogo deputato ad ospitare l’Imperatore, soddisfacendone i bisogni materiali e spirituali.

I percorsi “obbligati”
La constatazione che tutte le porte presentano il prospetto più curato del retroprospetto (quello verso cui si aprono i battenti) e la particolarità dei tre portali che si aprono sul cortile – uno dei quali non ha su di esso alcuna decorazione, presente, invece, all’interno della sala da cui si accede - ha dato luogo ad una ipotesi di individuazione di percorsi privilegiati (“obbligati”) che consente di spiegare l’apparentemente casuale distribuzione degli elementi funzionali (camini, camerini, servizi igienici,ecc.) nelle diverse stanze, uguali, invece, sotto l’aspetto geometrico (tutte trapezoidali).
Tracciando, infatti, i percorsi che partono dai due portali esterni seguendo i “prospetti principali” delle porte – e, quindi, il loro senso di apertura – e considerando come “terminali” le stanze il cui accesso può avvenire solo da una porta o che presentano due accessi contrapposti, si ottengono risultati sorprendenti: i percorsi “principali” – quelli cioè che partono dall’ingresso monumentale, non si intersecano con quelli di “servizio”, che, peraltro, non attraversano il cortile centrale; le stanze “terminali” sono dotate di camino, mentre le altre ne sono sprovviste (con l’eccezione della stanza del trono che ha caratteristiche sue proprie); le scale sono situate correttamente nei confronti dei percorsi per i collegamenti verticali; così come i servizi igienici e gli stanzini, le porte-finestre di primo piano sul cortile sono ubicate in modo da cortocircuitare le stanze terminali, attraverso la balconata esterna.
Si definiscono così, a primo piano, due settori: il primo “pubblico” che comprende la sala I, che la tradizione ha sempre chiamato “la stanza del trono”, pur in assenza di qualsiasi arredo, il secondo “privato” – la parte più riservata – al termine del percorso opposto.
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Castel del Monte è solo il più noto dei numerosi castelli di Federico II e che costituivano un sistema strategico difensivo tra i più funzionali d'Europa. Le sue residenze-fortezza, sono caratterizzate da uno schema planimetrico basato su forme geometriche semplici e regolari che riflettono l'influenza degli studi matematici arabi, presente in tutta l'architettura siciliana normanna.
La forma di Castel del Monte nasce da un modulo geometrico perfetto, le misure e le proporzioni dell'edificio sono calcolate, oltre che in 
sezione aurea anche in relazione alle ombre determinate dal sole al suo ingresso nei vari segni zodiacali. Questo rivela che il castello è il risultato degli studi astronomici, matematici e filosofici dei dotti, arabi, greci e latini presenti in gran numero nella corte di Federico II.
Il castello è imponente, costruito nel 
1240 sorge isolato in cima a un colle, nei pressi di una foresta, in quanto residenza di caccia, oltre che fortezza.
E' un 
prisma a pianta ottagonale, munito di torri ottagonali a protezione di ogni spigolo. Tale forma permetteva ai soldati di poter vedere e difendere la fortezza con facilità da tutte le direzioni.
La resistenza dell'edificio è garantita da muri molto spessi e tutta la costruzione è un gioiello di eleganza e massima funzionalità. I percorsi interni collegano agevolmente i 
due piani e le diverse aree dell'edificio e in ogni torre è presente una scala a chiocciola. Gli ambienti ampi, luminosi e confortevoli rendevano più piacevole la permanenza nel castello. Inoltre la costruzione è dotata di un ingegnoso sistema di raccolta dell'acqua piovana che veniva portata all'interno. Esistono alcune vasche di raccolta in alcune torri che convogliano l'acqua per mezzo di tubature che la distribuiscono nei servizi e la raccolgono in una grande cisterna situata sotto al pavimento del cortile. Oltre alla comodità ciò poteva rappresentare la possibilità di sopravvivenza in caso di assedio anche per lunghi periodi.
Visto all'esterno, nella sua forma possente ed essenziale l'edificio trasmette un senso di sicurezza e signorilità, si percepisce la consistenza volumetrica e la tridimensionalità, perchè qualunque sia il punto di osservazione, gli angoli convessi ci fanno vedere contemporaneamente due o tre facce del corpo centrale e delle torri.
La forza delle strutture murarie è ingentilita dal bel 
portale in breccia rosa, collocato al centro di due rampe di scale, architravato e inquadrato da un arco a ogiva. Lievemente aggettanti, due paraste laterali, scanalate e con capitelli corinzi, sostengono una cornice e un timpano dentellati, secondo la tradizione romana imperiale. In asse sopra al portale, si affaccia una bifora con rosoncino.
In ciascun lato dell'edificio, al posto di semplici feritoie, si aprono eleganti 
finestre monofore o bifore, e una trifora, tutte di forme gotiche. Una cornice orizzontale percorre tutto il perimetro della costruzione indicando la divisione dei due piani interni e marcando la netta linea orizzontale che chiude in alto la costruzione.
All'interno gli ambienti sono disposti su due piani e si articolano intorno ad un cortile centrale di forma ottagonale. Queste stanze sono tutte uguali, di forma a trapezio, ricevono luce da finestre sia dall'esterno che dal cortile interno. Sono coperte da volte a crociera con costoloni e presentano pregiati camini di alabastro. Le chiavi di volta delle sale del castello sono decorate con teste di fauno scolpite, di ispirazione classica. I pavimenti in origine erano impreziositi da mosaici e le pareti rivestite di breccia rosa al piano terreno e di marmo bianco al piano superiore, secondo la tradizione raffinata della Sicilia arabo-normanna. Oggi le sale sono più spoglie e rivestite solo di paramenti murari a opus reticulatum di derivazione romana.
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Appollaiato sulle colline della Murgia barese, Castel del Monte ha da sempre stimolato l'interesse di visitatori, studiosi, lettori che, spinti da motivazioni culturali o da semplice curiosità, hanno cercato di spiegare le ragioni per cui fu costruito da Federico II di Svevia nel XIII secolo e si sono interrogati sulla sua funzione, a partire dalla sua singolare forma architettonica ottagonale. 
Nella selva di pubblicazioni fiorita sull'argomento particolare fortuna hanno avuto negli ultimi anni alcuni studi che legano la costruzione di Castel del Monte all'astronomia e all'esoterismo. 

Purtroppo, in una società sempre alla ricerca del sensazionale e dell'inspiegabile, la miscela di mistero e magia insita in queste teorie ha trovato un terreno fertile al punto tale da mettere in secondo piano la ricerca "storico scientifica". Nessuna meraviglia, dunque, se si è fatta facilmente strada nella percezione comune l'ipotesi di Aldo Tavolaro
[1] secondo cui Castel del Monte non è veramente un castello, ma un tempio edificato senza alcuna finalità pratica, civile o militare, racchiudente in sé cadenze geometriche e astronomiche sì da farne un autentico scrigno esoterico. 
Sulla scia di Tavolaro c'è chi[2] ha ipotizzato un collegamento tra Castel del Monte e la piramide di Cheope, i cui valori dimensionali sarebbero stati inclusi nelle proporzioni della costruzione sveva. Qualcun altro[3]si è spinto al punto da ipotizzare addirittura una cupola d'oro, oggi non più esistente, che in origine doveva far parte dell'architettura dell'edificio. 

Filo conduttore di tutti questi lavori resta comunque l'idea di fondo che Castel del Monte non sia un castello ma "altro", un oggetto misterioso che di volta in volta si arricchisce di connotati diversi. 
In un recentissimo lavoro, "Castel del Monte e il sistema castellare nella Puglia di Federico II" a cura di Raffaele Licinio[4], si è cercato di dimostrare la totale infondatezza e inconsistenza di queste teorie alternative, restituendo all'edificio svevo quella identità castellare altrove gravemente compromessa ed inserendolo nel sistema di fortificazioni potenziato e messo a punto da Federico II in Puglia. 

In questo volume gli autori dei due saggi
[5] dedicati a Castel del Monte passano al setaccio proprio la già citata teoria che lega la costruzione sveva all'astronomia e alla geometria, evidenziando come Tavolaro si avvalga nelle suL'ipotesi secondo cui la pianta del castello sarebbe il frutto delle ombre proiettate da una parete del cortile interno colpita dai raggi solari in determinati giorni dell'anno, è supportata da verifiche geometriche e trigonometriche che, ad un'attenta analisi, risultano prive di fondamento. Queste dimostrazioni, infatti, si basano su due elementi: l'altezza della parete Sud del cortile interno e la larghezza del cortile in direzione Sud-Nord. I valori attribuiti ad essi da Tavolaro (rispettivamente 20,50 m e 17,87 m) non solo non collimano con quelli misurabili di fatto sul campo, ma non coincidono neanche con quelli desumibili dagli unici rilievi esistenti del castello, risalenti al 1934, altrove utilizzati dallo stesso autore. Questi infatti arbitrariamente assegna alla parete Sud del cortile il valore di metri 20,50 che invece nei rilievi del castello è attribuito alla parete orientale esterna recante il portale d'ingresso. Tavolaro, quindi, associa i due valori non tenendo conto dei dislivelli del terreno che sono di oltre due metri e del fatto che le due pareti non poggiano sullo stesso piano. A ciò si deve aggiungere che alcune misure, come la larghezza della stanza trapezoidale e la lunghezza delle ombre proiettate nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, inspiegabilmente cambiano a seconda che si legga la pubblicazione[6] del 1974 o quelle successive a quell'anno[7] sempre appartenenti allo stesso Tavolaro. Da un punto di vista metodologico questo mutamento è scientificamente inammissibile e basterebbe da solo ad inficiare tutta la procedura seguita. In realtà, se noi ci recassimo a Castel del Monte nel giorno degli equinozi, non troveremmo nessuna delle ombre descritte da Tavolaro, così come inseguiremmo invano la divina proporzione negli spazi architettonici del maniero, la cui perfezione geometrica è stata fortemente ridimensionata da recenti studi di un'equipe tedesca[8]. e dimostrazioni di dati non attendibili, spesso frutto di evidenti forzature, senza alcun riscontro pratico. 
Totalmente ignari delle irregolarità presenti nella pianta del castello, i cultori[9] del "mito geometrico" di Castel del Monte hanno colto paradossali nessi tra la piramide di Cheope e l'edificio svevo: Federico II lo avrebbe fatto costruire tenendo conto dei valori dimensionali della Grande Piramide. Gli arbitri e le inesattezze presenti in questa ipotesi sono numerose. In primo luogo il punto di partenza sono le ombre della teoria di Tavolaro di cui si è già dimostrata l'infondatezza. In secondo luogo vengono confrontate le dimensioni di parti della piramide oggi non più esistenti, come ad esempio la sommità "mancante", e su cui gli egittologi discutono ancora, con misurazioni tratte da presunte recinzioni ottagonali attualmente demolite che avrebbero circondato il maniero federiciano. Tutto ciò senza considerare che questi muretti erano stati costruiti in età moderna per il ricovero delle greggi e che comunque erano posti a distanza diversa da quella attribuita loro. In terzo luogo, si fa spesso riferimento al cubito sacro come unità di misura utilizzata per la costruzione della piramide di Cheope, dimenticando che si tratta di una misura letteralmente inventata da Charles Piazzi Smith nell'800. Pertanto ha dell'incredibile l'accostamento tra le dimensioni di Castel del Monte costruito, come si sa, in palmi napoletani e le proporzioni della Grande Piramide espresse in cubiti sacri che sono un parto della fantasia di Piazzi Smith. In questa lunga catena di imprecisioni ed incongruenze, di forzature ed errori che si rimandano l'un l'altro senza interruzione, la verifica dei fatti, l'attendibilità dei dati ed il riscontro delle fonti restano un miraggio. E se Sciannamea porta come prova a sostegno della sua ipotesi di una cupola dorata che doveva sormontare il cortile un non precisato "detto popolare", Tattolo[10] sbaglia nel datare l'unico documento federiciano riguardante Castel del Monte giunto in nostro possesso perché, nel citare il mandato, preferisce alla sua edizione ufficiale la lettura fornita da uno studioso locale nel 1914 che riportava appunto la data errata. Esempio questo di come nasca, si consolidi e si tramandi una notizia errata per il solo fatto di non aver avuto un rapporto diretto con le fonti e per l'uso disinvolto delle altrui citazioni. 
Con i "desueti" strumenti della ricerca storica gli autori del volume curato da Raffaele Licinio mettono in risalto l'inattendibilità di queste teorie sfatando alcuni luoghi comuni, come quello dell'assenza di strutture difensive, e restituendo a Castel del Monte quella identità castellare da più parti negata. Costruito per essere abitato, il maniero federiciano ha attraversato sette secoli e mezzo partecipando, seppure a fasi alterne, alle vicende storiche della sua terra. Maglia fondamentale nell'organico sistema castellare realizzato dallo svevo per governare il territorio, Castel del Monte fu costruito probabilmente sullo stesso sito ove era una precedente fortificazione normanna andata nel frattempo in rovina, a poca distanza dalle principali vie di comunicazione del tempo, immersa in un tessuto di cellule produttive presenti nelle vicine campagne. Posto su di un colle a 540 metri sul livello del mare, dominava il territorio circostante comportandosi come "l'uomo in coffa" dei velieri che un tempo solcavano gli oceani, in comunicazione costante con i castelli del circondario. Splendido gioiello architettonico, autentica "pietrificazione di un'ideologia del potere"11 , doveva ricordare a tutti, con la sua forma ottagonale riproducente la corona imperiale sveva, la potenza del suo committente rimanendo, nella sua polivalenza funzionale, pur sempre un castello medievale. 
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Federico II imperatore. - Figlio (Iesi 1194 - Castel Fiorentino, presso San Severo, Puglia, 1250) dell'imperatore Enrico VI e di Costanza d'Altavilla, fu posto, dopo la morte del padre e poi della madre, nel 1198, in seguito alle disposizioni testamentarie di quest'ultima, sotto la tutela di papa Innocenzo III. Incoronato re di Sicilia già verso la fine di maggio del 1198, si trovò in balìa dei feudatarî tedeschi e normanni che si contendevano l'influenza politica sul regno. Solo nel 1206 Innocenzo III poté farsi consegnare F. che, proclamato maggiorenne, si unì in matrimonio nel 1209 con Costanza d'Aragona. Mentre dapprima era intenzione del papa di impedire in ogni modo l'unione della corona imperiale a quella reale di Sicilia sul capo di F., le pretese di Ottone di Brunswick sul regno normanno, una volta diventato imperatore con l'appoggio del papa, determinarono la scomunica contro quest'ultimo, e l'invito ai principi di Germania di procedere all'elezione di un nuovo sovrano. Così F., recatosi in Germania, poté essere eletto re nel 1212 a Francoforte, ma solo dopo la battaglia di Bouvines (1214), nella quale Ottone fu battuto da Filippo Augusto di Francia, suo alleato, riuscì a diventare l'incontrastato padrone della corona germanica. Riordinati gli affari di Germania, F. promise al nuovo papa Onorio III di condurre una crociata contro gli infedeli e, dietro assicurazione di amministrare la Sicilia separatamente dall'impero, cinse il 22 nov. 1220 la corona imperiale in S. Pietro. Rientrato nel regno di Sicilia, vi iniziò una profonda opera di riordinamento: ristabilì l'autorità regia contro i feudatarî, riorganizzò i sistemi amministrativi e giudiziarî, instaurando un assolutismo che, ben servito da una nuova classe di funzionarî fedeli e capaci (tra essi Goffredo da Viterbo e Pier della Vigna) determinò, nonostante l'esosità di certi monopolî, il benessere delle popolazioni governate. Durante quegli anni risultarono vane le richieste mossegli dal pontefice di condurre la promessa crociata: con diverse scuse e pretesti, F. riuscì sempre a eludere il desiderio di Onorio III. Partì finalmente (ag. 1227) dopo l'elezione del successore Gregorio IX, che si mostrava deciso a scomunicarlo, ma rientrò pochi giorni dopo a causa di un'epidemia scoppiata sulle navi. Colpito dalla scomunica, ripartì nel giugno 1228; mediante un accordo con il sultano al-Kāmil ottenne Gerusalemme, di cui cinse la corona di re il 18 marzo 1229 per i diritti venutigli da Isabella di Brienne, che aveva sposato nel 1225, dopo la morte della prima moglie. In Italia frattanto il papa aveva raccolto un esercito che devastava il suo regno; solo il suo ritorno riuscì a ristabilire la pace. Dopo aver ulteriormente perfezionato l'ordinamento legislativo mediante la promulgazione delle Costituzioni melfitane nel 1231 (v. Constitutiones Regni Siciliae), si rivolse alla definizione dei rapporti con i Comuni lombardi, che durante la sua permanenza in Oriente avevano fatto causa comune con il papa. La dieta convocata a Ravenna nel dic. 1231 riaffermò l'alta sovranità imperiale sui Comuni ma senza risultato pratico alcuno. Successivamente furono gli affari di Germania a richiedere la sua presenza: il figlio Enrico, ribellatosi, aveva raccolto attorno a sé tutti gli scontenti della politica del padre. Ristabilita la propria autorità e ottenuto l'appoggio dei principi contro i Comuni, nella battaglia di Cortenuova (27 nov. 1237) inflisse una grave sconfitta alla Lega lombarda: lo stesso carroccio di Milano cadde nelle mani di Federico. Ma, mentre i Comuni raccoglievano nuove forze, il matrimonio (1239) del figlio Enzo con Adelasia vedova d'Ubaldo Visconti, giudice di Torres e di Gallura, rincrudiva l'ostilità di Gregorio IX che vedeva la Chiesa privata dell'eredità sarda promessa da Adelasia. F., ancora una volta scomunicato nel marzo 1239, riuscì però a impedire che si radunasse a Roma il concilio indetto col fine di deporlo, catturando gran parte dei convocati (1241). Ma morto Gregorio, il successore Innocenzo IV, riunito nel giugno 1245 un concilio a Lione, scomunicò e depose F., e bandì contro di lui una crociata di tutti i popoli cristiani. F. tentò di reagire; ma in Germania fu eletto re il margravio di Turingia Enrico Raspe; in Italia, mentre Parma cadeva in mano a una fazione favorevole al papato, le forze ostili si fecero sempre più minacciose. F. tentò allora di raggiungere un accordo con il pontefice, ma invano. Nel 1248 dovette subire una dura sconfitta sotto le mura di Parma e l'anno seguente il diletto figlio Enzo, battuto nella battaglia di Fossalta, cadde nelle mani dei Bolognesi, che lo tennero prigioniero fino alla morte (1272). Solo dalla Germania, dove il successore di Enrico Raspe, Guglielmo d'Olanda, fu sconfitto dal figlio di F., Corrado, l'imperatore ebbe notizie confortanti. Ma di lì a poco F. morì all'improvviso vittima di un attacco di dissenteria. Tra i suoi figli ricordiamo Enrico avuto da Costanza d'Aragona e Corrado (IV) da Iolanda di Brienne, legittimi; Manfredi (legittimato dopo il 1235) da Bianca Lancia; Enzo e Federico d'Antiochia, illegittimi. La figura di F. è legata alla storia della letteratura italiana per quella scuola siciliana che fu la prima palestra, su temi provenzali, della nuova poesia volgare italiana, e che si chiamò siciliana appunto perché, come dice Dante nel De vulgari eloquentia, fiorita alle corti di F. e di Manfredi, re di Sicilia; fu poeta egli stesso (gli si attribuiscono 4 canzoni); diede impulso alla cultura, realizzando l'incontro fra tre civiltà, la latina, la greca e l'araba, promuovendo versioni di opere ignote ai latini (alla sua corte lavorò Michele Scoto; nel 1230-32 fu Federico II a inviare all'università di Bologna e ad altre università opere di Averroè tradotte dall'arabo) e gli studî di filosofia naturale (dall'astrologia, professata alla sua corte da Michele Scoto e Teodoro, alla matematica: a lui Leonardo Fibonacci dedicò il Liber quadratorum); si impegnò egli stesso in dispute scientifiche e filosofiche (si ricordino i "Quesiti siciliani" con Ibn Sab‛īn) e scrisse un trattato di falconeria (De arte venandi cum avibus) ricco di osservazioni dirette; famoso ai suoi tempi lo zoo che F. raccolse con animali esotici. Grandissima l'influenza del suo pensiero e del suo mecenatismo sull'arte del tempo, dagli originalissimi castelli, alla statuaria, alla sfragistica, alle monete, all'illustrazione dei codici. Nel campo politico la sua esperienza conclude in certo senso l'impero medievale, alla cui tradizione universalistica egli vincolò in qualche modo la sua geniale opera di organizzatore del Regno, che per tanti aspetti ha presentimenti addirittura moderni. Per l'albero genealogico, v. Hohenstaufen.
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Pianta di base ottagonale, con spigoli sormontati a loro volta da altre strutture che imitano la stessa geometria: nel Castel del Monte il numero otto non è affatto sconosciuto ma, anzi, domina invadente l'imponenza dell'edificio.

Otto: il numero chiave di Castel del Monte

Sono due i piani su cui Castel del Monte si ripartisce, entrambi costituiti da otto stanze sviluppate intorno ad un giardino centrale, anch'esso, di forma ottagonale. Grazie a due rampe ricostruite nel 1928, tra loro disposte simmetricamente, si giunge, ad Est, al maestoso portale principale in breccia corallina, una maestosità che si riflette in tutta la struttura e che viene alleggerita solo dal cortile centrale in corrispondenza di tre porte e di tre finestre, rispettivamente al piano inferiore e superiore del castello. L'ingresso primario di Castel del Monte risente dell'ispirazione classica, con pilastri esili e scanalati e capitelli corinzi che sorreggono un finto architrave, sagomato nella parte inferiore da modiglioni, su cui si imposta un timpano cuspidato. Tra la parte esterna e quella interna del vano d'accesso si situa l'intercapedine funzionale allo scorrimento della saracinesca, manovrata un tempo dalla caratteristica "sala del trono".
Per quanto concerne il colore, questo doveva essere molto più intenso e vivace in passato, mentre ora i vari fenomeni atmosferici hanno contribuito ad affievolirli. Pare che il piano inferiore si ricoprisse di breccia rossa, per risaltare i camini e le strutture di porte e finestre, mentre le sale al primo piano si rivestivano di lastre marmoree. E' plausibile che le pareti del piano terra fossero abbellite da dipinti, mentre preziosi mosaici avrebbero colorato tanto i soffitti quanto i pavimenti. A tal proposito, grazie a dei lavori di restauro relativamente recenti, è stata riscoperta la bellezza di un mosaico sul pavimento dell'ottava stanza. Assai variegati sono anche i materiali impiegati nella costruzione, che indubbiamente hanno influito sulle cromie del castello. La breccia corallina vivacizza finiture e decorazioni, spiccando sul marmo bianco che, per quanto attualmente rimanga solo in pochi resti di finestre, in passato deve aver dominato sugli arredi del castello. La pietra calcarea fa di certo da padrona, presente nelle strutture vere e proprie, ma anche nei dettagli dei decori, variando l'intensità delle proprie sfumature in base al particolare momento del giorno o alle condizioni atmosferiche.
Esteriormente, la divisione dei due piani è ben evidenziata da una cornice aggettante. Le torri si caratterizzano per la presenza di varie feritoie, tra loro disposte in maniera eterogenea, che illuminano i vani stessi delle torri e le scale a chiocciola. Le torri racchiudono le facciate, su ognuna delle quali si posizionano due finestre, tra loro non sempre equivalenti, una al piano superiore, l'altra a quello inferiore, con l'eccezione delle due facciate sulle quali si collocano il portale principale d'ingresso e quello di servizio, rispettivamente ad Est e ad Ovest. Se l'ingresso primario si contraddistingue per la breccia corallina, quello secondario si mostra privo di decorazioni, con un semplice profilo archiacuto. Un particolare degno di nota riguarda la bifora tra le torri 7 ed 8, che conserva, nell'oculo destro, l'unica tessera di mosaico superstite, di colore verde, delle decorazioni policrome delle finestre.

La struttura interna di Castel del Monte

Otto stanze al piano inferiore, otto in quello superiore, tutte accomunate dalla forma trapezoidale e da dimensioni quasi identiche: queste le caratteristiche degli interni del castello, le cui sale si contraddistinguevano per funzioni differenti in base alla loro disposizione rispetto alle altre e ai collegamenti reciproci e con il cortile. Ad esempio, le sale dotate di vari comfort come camini e disimpegni si distinguono da quelle cosiddette di passaggio. L'apparente problema della copertura delle stanze trapezoidali si risolve in maniera abbastanza semplice grazie alla scomposizione della superficie in un quadrato, con uno dei quattro lati corrispondente a ciascuna delle otto linee perimetrali del cortile ottagonale, e due triangoli laterali. Il soffitto del quadrato si caratterizza per una volta a crociera costolonata, quello dei triangoli per semibotti ad ogiva. Lo scopo dei costoloni è puramente decorativo: già molto diffusi in Francia, sono una novità assoluta in Puglia, e nello specifico di Castel del Monte presentano varie chiavi di volta raffigurate, tra le quali degne di nota sono quelle di quattro testine umane e quattro ibridi annodati, rispettivamente della settima ed ottava sala del piano superiore, e quella di una testa di fauno con orecchie appuntite incorniciata tra uva e pampini.
E' la breccia corallina a dominare nelle decorazioni delle varie stanze, quali le semicolonne che delineano il perimetro del quadrato ottenuto dalla scomposizione delle varie camere ed i rispettivi capitelli, ornati da foglie ad apice ricurvo, o le cornici delle finestre a tutto sesto, gli oculi e le soglie tra una camera e l'altra. Per quanto, invece, concerne la pavimentazione, questa presenta solo pochissimi resti, nell'ottava sala, mentre originariamente doveva apparire arricchita di tarsie geometriche in marmo bianco e ardesia.
Il cortile interno è collegato in maniera diretta con tre camere a piano terra, identificando alcuni percorsi forzati che potrebbero suggerire una certa gerarchia tra le varie sale. Le pareti del cortile terminano la loro verticalità con un'arcata cieca a sesto acuto impostata su paraste angolari e si alleggeriscono grazie alla presenza di porte e finestre, distribuite in maniera assai eterogenea.

Il piano superiore è accessibile mediante due torri: la torre 3 (Torre del Falconiere) si ricopre di una volta tripartita sorretta da mensole antropomorfe raffiguranti la testa di un fauno ed un volto femminile ed è accessibile dalla quarta sala, mentre dall'ottava camera ci si può introdurre nella torre 7, sormontata da una volta esapartita sostenuta da telamoni in atteggiamenti curiosi e provocatori. Ancora, la torre 5 vanta l'unica scala percorribile senza interruzioni fino al terrazzo, alla quale si accede dal fronte opposto a quello principale, dalla sala 5. E' stato durante gli ultimi lavori di restauro che si è completata la copertura del terrazzo, con un doppio spiovente, dove quello interno, per mezzo di tubi di piombo incassati nella muratura, è finalizzato a convogliare le acque alla cisterna della corte, e quello esterno alle condutture dei servizi delle torri. Il paesaggio offerto dall'altezza del terrazzo è a dir poco mozzafiato, allargandosi dalle Murge, al Tavoliere, al Gargano, e vale assolutamente la pena di essere ammirato.
Al livello superiore si aprono tre porte finestre in breccia corallina, con architrave su mensole, incorniciate da due colonnine che reggono un archivolto ornato a fogliami ed ovoli. E' probabile che in passato tali porte finestre fossero tra loro in comunicazione grazie ad un percorso pensile che si sviluppava per tutto il perimetro del cortile. Per quanto riguarda le stanze a questo livello, esse seguono gli stessi sviluppi di quelle sottostanti, però si distinguono per una più spiccata raffinatezza di particolari e linee. I costoloni che sorreggono le volte sono più sottili e slanciati, e si dipartono da colonnine tristili in marmo riunite a fascio da un unico capitello decorato elegantemente a motivi vegetali. Sul versante che si affaccia sull'esterno, le sale sono vivamente illuminate da una bifora di evidente eredità gotica, eccezion fatta per una trifora nella seconda sala, sul versante settentrionale del castello. Tutte le finestre sono accomunate dal fatto di essere rialzate da gradini e fiancheggiate da sedili. Sul versante del cortile si alternano, a seconda delle sale, porte finestre e monofore a tutto sesto. Lungo le pareti di ogni sala corre un sedile in marmo sotto la base delle colonne, e una cornice marcapiano all'imposta delle volte. In origine le pareti di queste sale dovevano essere rivestite interamente da grandi lastre di marmo.

Già menzionata è stata la cosiddetta "sala del trono", che merita un approfondimento particolare, poichè è quella che più di tutte si collega a Federico II, secondo quanto la tradizione ci tramanda. E' infatti qui che pare che l'imperatore abbia tenuto consulti con la sua corte, o che si sia isolato per perdersi in pensieri e contemplazioni. Si dispone sul lato orientale del castello, in corrispondenza della facciata principale, ed è proprio da qui che si poteva controllare la saracinesca del portone d'ingresso. Qui la chiave di volta raffigura un volto umano barbuto, interpretato ora come fauno, ora come astrologo, mago o anche filosofo. Ed è sempre qui che si percepiscono legami con fenomeni celesti e divini, nella caratteristica posizione rivolta al sole e a Cristo.
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"Il viaggiatore che s'inoltri verso Terra di Bari, dalle vaste pianure della Capitanata o dai valichi ombrosi della Lucania o dalle sponde apriche dell'Adriatico, scorge sullo sfondo del cielo nettamente stagliata una costruzione, che a guisa di corona emerge dalla ondulata catena delle Murge.
Corona della Puglia è infatti l'edificio medioevale denominato Castel del Monte, che segna nei secoli il ricordo tenace dell'antica potenza e della bellezza antica.  Il solitario maniero fu a volta a volta denominato Torre dei venti, Belvedere delle Murge, Colosseo della Puglia, o, più semplicemente e più efficacemente, il Castello di Federico".
[dalla guida a "Castel del Monte" di Pasquale Cafaro, Arti grafiche Leoncavallo, Trani, 1949, pag.3]
"Vogliamo provare a ripercorrere gli ambienti interni di Castel del Monte con un occhio al suo uso possibile? Forse ci accorgeremo che il maniero non era poi così scomodo (almeno secondo gli 'standards' dell'abitabilità medievale) e che, nell'ambito d'un preciso progetto, ogni persona ed ogni funzione potevano trovarvi il loro posto. Come nello Stato sognato dall'imperatore.
Dopo aver superato una delle due brevi rampe di scale esterne ed essere entrati per l'imponente scenografico portale rivolto ad oriente, ci si trova nella sala I del pian terreno (che è in realtà un piano rialzato). Trapezoidale come le altre sette dello stesso piano e le altre otto del piano superiore, questa sala ha come accessorio un solo stanzino nella torre 1 ed una sola uscita: nella sala II, dalla quale si può uscire solo nell'ottagonale cortile interno. Queste due sale non potevano che svolgere la funzione di ingresso, corpo di guardia o sala d'aspetto. ...
Entrati nel cortile, ci si trova a dover scegliere tra due altri ingressi: quello nella sala VII a sinistra (sud) e quello nella sala IV a destra (nordovest). Il primo appare, per le sue dimensioni, più «importante» del secondo, che è però sovrastato dai resti di una statua equestre che molto probabilmente rappresentava lo stesso imperatore. ... quella statua sull'ingresso «minore» lo qualifica come accesso ai locali di uso «militare»: la sala IV poteva essere un secondo corpo di guardia, dal quale si poteva accedere al piano superiore per la scala a chiocciola sita nella torre 3. Dalla sala IV si poteva passare nella sala III, che non ha altre uscite ed è fornita di stanzino e servizi igienici nella torre 2. Questa sala III ha un camino: se si osserva che i camini, ieri come oggi, non sono soltanto focolari che riscaldano ma anche fornelli che cuociono, è facile pensare all'uso di questo ampio vano come soggiorno, riposo e cucina per il drappello di armati addetti alla sicurezza personale dell'imperatore anche durante i progettati (e forse mai realizzati) brevi soggiorni in questo solitario maniero sulle Murge.
Dalla sala IV si può accedere nella sala V, che è fornita di stanzino nella torre 4 e di scala al piano superiore nella torre 5, ed in essa si entra dal secondo ingresso dell'edificio, quello secondario o di servizio rivolto a ponente. Ragion di più per ritenere che le sale IV e V fossero (come la sala I) saldamente presidiate e difese, e che questa parte del maniero dovesse svolgere funzioni militari e di servizio, anche per il suo orientamento meno privilegiato, a nord e ovest. Dalla sala V si può anche accedere alla sala VI, ma questo doveva essere un ingresso di emergenza, perché questo locale appare integrato in un altro itinerario.
Dall'altro e più importante ingresso nel cortile si accede nella sala VII, un locale di rappresentanza e di disimpegno (non è fornito di accessori), dal quale si può passare: a destra, nella sala VI, fornita di stanzino e servizi igienici nella torre 6, e che appare stanza di riposo per la servitù: a sinistra, nella sala VIII, che ha, nella torre 7, la scala che porta al piano superiore, e nella torre 8 uno stanzino e servizi igienici. Ha anche il secondo camino del pian terreno, che la qualifica, oltre che come locale di passaggio per gli appartamenti del piano superiore, come cucina."
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 Castel del Monte è qualcosa di diverso da un semplice castello. Infatti non sono presenti nella sua costruzione elementi strutturali che caratterizzano i castelli del medioevo.La mancanza di elementi quali il fossato le cantine,le scuderie,le cucine, gli alloggi per la servitù inoltre la presenza di ampie finestre sconvenienti in un castello poiché davano la possibilità al nemico di introdurvi palle infuocate, la mancanza di feritoie ,la presenza al suo interno di scale a chiocciola che salgono verso sinistra,(inusuali in un castello) lasciando libero l’assalitore di brandire la spada con la mano destra, la bellezza dei suoi marmi e lo sfarzo nella cura dei particolari ci danno l’idea che Castel del Monte non era una costruzione militare ma qualcosa di diverso, una dimora  di  cultura, dove isolati dai centri abitati ci si poteva dedicare alle diverse scienze del sapere.
 Castel del Monte era una dimora che ospitava un numero limitato della corte dell’Imperatore.La sua posizione isolata ,il numero elevato di guardie ,saraceni,cavalieri Teutonici  dato la mancanza di elementi offensivi nella sua architettura ,lo rendeva un luogo inaccessibile a molti.Sulla sommità di quel piccolo colle, in un luogo dove confluivano pochi scelti dall’Imperatore,in un luogo lontano dalla vista di curiosi dove erano impiegati per la manutenzione dell’edificio uomini di Monopoli,Bitonto, Bitetto, luoghi distanti non poco dal castello. Quest’ultimo elemento tratto da un documento databile 1241… 1246 ci rende l’esclusività e la riservatezza attribuita a quel luogo. In tempo di pace la manutenzione e l’amministrazione dei suoi castelli era affidata a pochi custodi comandati da un funzionario imperiale.
 In quel luogo, dove si potevano compiere operazioni per sublimare e per seguire soluzioni e distillazioni mettendo in pratica la scienza occulta chiamata Alchimia. Il massimo sviluppo dell’Alchimia si ebbe in Europa tra il XII e il XVII secolo,nella ricerca di qualcosa per l’alchimia metallurgica, incorruttibile, che rende nobili i metalli, che doni l’immortalità,partendo dal principio che in natura esistano metalli corruttibili 5: piombo,ferro,rame,stagno,mercurio e 2: incorruttibili argento e oro ,non soggetti con il trascorrere del tempo a decadimento. In Castel del Monte con i suoi camini troppo piccoli per essere utilizzati come cucine per preparare le numerose pietanze occorrenti ai  banchetti imperiali ma sufficienti per modellare con il fuoco la materia durante le misteriose operazioni dei vari preparati, durante le quali venivano utilizzati gli alambicchi,crogiuoli,che venivano poi riposti nelle nicchie laterali dei camini,  nell’ottava sala il camino conserva le 2 nicchie laterali e parte della cappa.
 Nelle lontane notti del XIII secolo, nel castello venivano eseguite le misteriose operazioni che permettevano di produrre la perfezione dei metalli la trasmutazione dei metalli vili in oro,in quel maniero dove  si potevano compiere le operazioni segrete alla ricerca della quinta sostanza incorruttibile (terra, acqua ,aria ,fuoco, quattro elementi che compongono la materia,soggetti alla corruzione).Come ci riporta uno scritto del 1300 del Francescano Bonaventura, che descrive il laboratorio il quale deve avere stanze luminose altre in penombra dotate di finestre, mentre il laboratorio vero e proprio deve essere isolato lontano da curiosi a causa dei fumi e degli odori prodotti. Castel del Monte rispondeva a tali requisiti inoltre la presenza alla corte dell’Imperatore di Michele Scoto ,tra i primi autori latini della scienza occulta, con i suoi scritti sui metalli e pianeti rafforza maggiormente l’idea di Castel del Monte come luogo dove si praticava la nuova scienza.
Michele Scoto, amico di FedericoII, fu un astrologo,mago,indovino, aveva infatti predetto anche la propria morte e per questo motivo indossava a protezione del capo un elmetto di ferro,che però non servì a salvarlo quando attorno al 1236, a causa del crollo della volta di una chiesa, morì . Michele Scoto,traduttore di Aristotele, compose opere di astrologia ed Alchimia introducendo in Occidente i primi relativi trattati, compilò  per Federico varie opere di quella scienza che permetteva di creare oro a buon prezzo. L’astrologo Scoto che sosteneva di avere assistito alla trasmutazione del rame in argento, la leggenda vuole che durante i banchetti imperiali faceva comparire in tavola ogni ben di Dio mentre in cucina i cuochi rimanevano inoperosi.
 Michele Scoto l’alchimista,che aveva messo il suo ingegno al servizio dell’Imperatore nella dimora di Castel del Monte in cui con i suoi camini (la disposizione delle cisterne per la raccolta dell’ACQUA quanto quella dei camini FUOCO,formano il pentagono stellato con il vertice verso l’alto) venivano compiute segrete operazioni per cercare la perfezione della materia. 

Il 29 gennaio del 1240, l’imperatore e re di Sicilia, Federico II di Svevia (Jesi, 1194 - Fiorentino di Puglia, 1250), scriveva da Gubbio una lettera a Riccardo da Montefuscolo, Giustiziere della Capitanata (ovvero il funzionario che rappresentava il sovrano nella Capitanata, una delle suddivisioni amministrative del regno di Sicilia, all’incirca corrispondente all’odierna provincia di Foggia), nella quale ordinava di fare l’actractus “pro castro quod apud Sanctam Mariam de Monte fieri volumus”, ovvero “per il castello che abbiamo voluto costruire nei pressi di Santa Maria del Monte”. Non si è ancora compreso bene a che cosa si riferisse il termine actractus (forse un pavimento, oppure una copertura, o ancora si tratta semplicemente di un termine che si riferisce al materiale da costruzione: in sostanza, non sappiamo se i lavori fossero in fase d’avvio o in via di conclusione), ma sta di fatto che questa missiva del 1240 è il primo documento noto che riguarda il più interessante castello federiciano oltre che uno dei monumenti più noti della Puglia e di tutta l’Italia meridionale: Castel del Monte. L’imponente edificio viene poi citato in un documento redatto tra il 1241 e il 1246, e noto come Statutum de reparatione castrorum, in cui si elencano i castelli che dovevano essere riparati dalle comunità di riferimento: Castel del Monte, presentato come un edificio già completato, è di nuovo citato come castrum, termine con cui nei documenti dell’epoca venivano designate le fortezze militari con funzioni prettamente difensive.
Eppure, gli studiosi per decennî si sono interrogati (e continuano a interrogarsi) sulla funzione di questo particolarissimo castello ottagonale. Alcuni hanno contestato un’eventuale funzione difensiva di Castel del Monte: chi sostiene questa tesi fa leva sul fatto che attorno all’edificio manchi una cinta muraria, non sia presente il fossato né il ponte levatoio, non ci sarebbero postazioni adatte alla difesa (per esempio per gli arcieri), e così via. Uno dei principali medievisti italiani nonché tra i più esperti studiosi di Federico II, Raffaele Licinio, ha tuttavia contestato questa teoria, rimarcando come nel Medioevo ci fossero castelli privi di ponti levatoî e cinte murarie ma che comunque non perdevano le loro funzioni difensive e militari (Licinio addirittura sottolineava che, in questo senso, Castel del Monte “paga un prezzo elevato all’immagine del castello medievale in qualche modo figlia di Walter Scott e dei romanzi storici ottocenteschi, la cui ambientazione è stata ripresa, divulgata dal cinema e alla fine imposta come ricostruzione storica verosimile, se non autentica”). Il castello aveva comunque delle strutture di difesa: alcuni documenti antichi (uno del 1289 e un altro del 1349) citano, per esempio, la presenza di un muro di cinta esterno all’ottagono, che andò distrutto in epoche successive. Certo, è altrettanto vero che non è stata ancora rintracciata una documentazione che possa fornire informazioni certe su quale fosse la destinazione d’uso del castello, e per tal ragione sono state proposte le ipotesi più svariate: chi lo ha ritenuto una residenza di piacere o un casino di caccia, chi una sala per le udienze imperiali, altri ancora un labirinto o una costruzione puramente estetica e priva di reale scopo, chi si è addirittura spinto a ritenerlo un tempio per riti esoterici, un centro per le osservazioni astronomiche oppure una sorta di grande hammam medievale, luogo per cure termali.
Di recente, lo storico Massimiliano Ambruoso, con un paio di suoi studî, ha smontato tutte le ipotesi più fantasiose, da quelle esoteriche fino a quella che vorrebbe Castel del Monte un centro termale: per brevità, si può dire che si tratta sempre di ipotesi non sostenute da alcun documento, frutto di elaborazioni fantasiose spesso campate per aria, impossibili da dimostrare, talvolta del tutto incuranti del contesto storico di riferimento, e prive di ulteriori riscontri (per esempio, non è mai esistito all’epoca un castello che fungesse anche da centro termale, e la presenza di condutture e tubature per l’acqua, che del resto figurano in tutti i castelli medievali, non è ragione sufficiente per fare di Castel del Monte una spa del tredicesimo secolo). Cassate, ovviamente, anche tutte le teorie che mettono in relazione Castel del Monte a improbabili ricerche di santi Graal, non foss’altro per il fatto che non è attestata la presenza dei templari in Capitanata e per il fatto che tra i cavalieri e Federico II non corresse buon sangue. Quale dunque la teoria più probabile circa l’utilizzo e l’utilità di Castel del Monte? Forse è scontato sottolinearlo, ma nei documenti medievali l’edificio viene sempre citato come castrum, castello, il che dovrebbe fugare ogni dubbio circa destinazioni alternative come centro termale, tempio, osservatorio astronomico o quant’altro (nel caso, i documenti non avrebbero adoperato il termine castrum): è del tutto probabile, come ha suggerito Ambruoso, che Castel del Monte avesse la funzione di rafforzare il sistema dei castelli federiciani, che nei pressi di Santa Maria del Monte era piuttosto carente.
Federico II è infatti noto anche per aver promosso un profondo e impegnativo programma di consolidamento della rete castellare delle sue terre nel meridione d’Italia, o con fortificazioni fatte costruire ex novo, oppure con l’ammodernamento di precedenti fortezze normanne: lo scopo principale era quello di dar vita a un forte controllo sul territorio. La novità, tuttavia, consisteva nel fatto che i castelli di Federico il più delle volte univano alla funzionalità anche una riflessione sul loro aspetto: dovevano essere fortemente comunicativi. E dal momento che i castelli federiciani non avevano solo funzioni difensive, ma il più delle volte erano anche residenze o sedi di rappresentanza, la funzione di Castel del Monte potrebbe essere stata duplice. Inoltre, che Castel del Monte fosse un luogo ben difeso, possiamo supporlo anche dal fatto che, poco tempo dopo la scomparsa di Federico II, fu utilizzato anche come carcere: sappiamo peraltro dai documenti che il figlio di Federico II, Manfredi di Hohenstaufen (Venosa, 1232 - Benevento, 1266) vi fece rinchiudere un suo feudatario, Marino da Eboli (assieme al di lui figlio Riccardo), con l’accusa di ribellione. E pare che dopo la battaglia di Tagliacozzo, che segnò la definitiva caduta degli svevi in Italia, vi fossero stati imprigionati anche i figli di Manfredi. Ed è dunque ovvio che un castello non avrebbe potuto fungere da prigione se non fosse stato ritenuto sufficientemente sicuro. Senza calcolare il fatto che venne usato come fortezza militare anche in epoche successive. Si consideri poi che Castel del Monte oggi ci appare isolato, ma all’epoca si trovava nei pressi della strada che univa Andria e il Garagnone, un’antica rocca, oggi in rovina, nei pressi di Gravina in Puglia: all’epoca era una trafficata strada utilizzata per i commerci e le comunicazioni (e le stesse Andria e Gravina erano due dei principali centri del dominio federiciano nel sud Italia: Gravina era capoluogo del Giustizierato di Terra di Bari, e Andria una delle principali località della Capitanata), pertanto la posizione su cui Castel del Monte sorge (la cima di un colle alto più di cinquecento metri) era all’epoca decisamente strategica.
Da dove nascono dunque le ipotesi più bizzarre su Castel del Monte? Ovviamente, a giocare a favore delle interpretazioni più strane è la forma del castello. Costruito con conci di pietra calcarea sopra una collinetta rocciosa, Castel del Monte ha una massiccia forma ottagonale: su ogni angolo si staglia una torre, anch’essa ottagonale, e ritroviamo la stessa forma nel cortile interno, dove colonne e portali sono realizzati in breccia corallina, una pietra di colore rossastro che crea un contrasto notevole con i colori candidi della pietra calcarea. Infine, in passato il Castello doveva presentare diverse decorazioni in marmo bianco, che oggi sopravvivono solo in parte. Sono due i piani del castello, ognuno costituito da otto sale (per un totale dunque di sedici) di forma trapezoidale, coperte da volte a crociera costolonate nel riquadro centrale, con le colonne anch’esse in breccia corallina, e da volte a botte ogivali negli spazi angolari (un dato interessante è che le chiavi di volta sono tutte diverse). Per salire da un piano all’altro, i progettisti hanno inserito delle scale a chiocciola, con gradini anch’essi trapezoidali, inserite in tre delle otto torri (le altre sono invece destinate a scopi pratici: cisterne per l’acqua piovana, bagni e servizi igienici, cosa piuttosto inusuale per l’epoca ma che si riscontra anche in altri castelli federiciani, e alloggi per soldati). Il piano superiore si contraddistingue anche per la presenza di bifore (oltre a una trifora) e di volte più snelle, tutti elementi che rendono le sale del piano superiore più eleganti rispetto a quelle del piano inferiore. L’ingresso è costituito da un grande portale timpanato, preceduto da due rampe di scale simmetriche.

Non è detto che la scelta dell’ottagono non rivesta un carattere simbolico, ma comunque, nel caso, non avrebbe niente a che vedere con strani riti esoterici od oscure simbologie astrali: c’è chi ha legato la forma a una simbologia solare, altri ancora hanno ritenuto di vedere nell’ottagono un rimando all’aureola simbolo di santità, mentre alcuni studiosi hanno messo in relazione la forma del castello con quella della corona imperiale, teoria che al momento sembra essere la più probabile (la corona del Sacro Romano Impero, oggi conservata all’Hofburg di Vienna, è effettivamente di forma ottagonale). Occorre però specificare che non è possibile stabilire con certezza quale fosse il significato dell’ottagono: non possiamo neppure escludere che Castel del Monte volesse affrancarsi dalla più tradizionale forma quadrata tipica di altre fortezze, o semplicemente fosse una preferenza personale dell’imperatore. Un dettaglio che però potrebbe escludere interpretazioni avventate è il fatto che Castel del Monte non è l’unico edificio a pianta ottagonale dell’epoca: esistono infatti altri precedenti. Il più illustre è la Cappella Palatina di Aquisgrana: fu costruita alla fine dell’ottavo secolo, e a sua volta riprendeva precedenti edifici a pianta ottagonale (come la basilica di San Vitale a Ravenna o quella di San Lorenzo a Milano), e Federico II la conosceva bene dal momento che vi fu incoronato nel 1215. Esistono poi torri ottagonali di origine islamica (come la Torre dell’Alcázar di Jerez de la Frontera, costruita dagli arabi nel dodicesimo secolo, o la coeva Torre de Espantaperros di Badajoz, in Estremadura), ma anche castelli ottagonali fatti edificare nei feudi degli Hohenstaufen, anche se nessuno è conservato bene come Castel del Monte: valgano gli esempi del castello di Hugstein, vicino a Guebwiller, e quello di Eguisheim, entrambi in Alsazia (ed entrambi in rovina). Sappiamo poi che il distrutto Palazzo Imperiale di Federico II, che si trovava a Lucera, aveva un cortile interno di forma ottagonale. L’ottagono era un poligono con cui gli svevi e Federico Ii dimostravano una certa confidenza: tuttavia il fatto che la scelta fu adottata anche altrove dovrebbe portare a scartare significati che si adattino al solo contesto di Castel del Monte e, se proprio occorre trovare un qualche significato alla scelta dell’ottagono, è semmai necessario riferirlo al culto della personalità dell’imperatore (com’è noto, molti dei suoi contemporanei identificavano Federico II, sulla scorta d’una tradizione che rimandava agli imperatori romani, con il sol invictus, il “sole invitto” il cui culto fu introdotto a Roma nell’epoca del tardo impero, e la cui figura fu associata a diversi imperatori, Costantino su tutti).
C’è da specificare che oggi Castel del Monte, benché sia l’unico castello federiciano a esserci pervenuto intero e con un aspetto simile a quello originario, appare molto diverso rispetto a come doveva rivelarsi agli occhi di un osservatore dell’epoca di Federico II. Per esempio, sappiamo che con tutta probabilità il castello doveva essere provvisto di merlature. Ma non solo: sicuramente, appariva molto più decorato di come lo vediamo oggi (le decorazioni erano uno degli elementi più importanti di Castel del Monte, segno che non doveva essere soltanto un fortilizio militare, ma anche una residenza o una sede di rappresentanza). “Lo scopo di quella gigantesca sagomata pietra dura”, ha scritto lo studioso Giosuè Musca, “non era solo quello di permettere a Federico brevi o meno brevi soste allietate dalle dolcezze e dalle comodità del vivere da imperatore romano o da despota orientale, non era solo quello di concedere a lui ed ai suoi accompagnatori ed ospiti assisi nei vani delle finestre del piano superiore la visione di un vasto orizzonte, di una fetta cospicua di terre imperiali, ma anche (e soprattutto) quello di ‘farsi vedere’ da lontano: una costruzione ad alto potenziale semantico che emanasse, più che rasserenanti cariche estetiche, efficaci e profonde cariche emotive”. “Esigenze funzionali” e “valenze simboliche”, in Castel del Monte, procedono dunque di pari passo, e l’edificio appare, “più di ogni altre costruzioni federiciane”, ha affermato ancora Musca, “il ritratto dell’imperiale Stato laico, un ritratto che proclama potenza e sicurezza, la ‘pietrificazione” di un’ideologia del potere, un manifesto della regalità affidato al tempo in materiali meno deperibili della pergamena. Era un messaggio particolarmente eloquente per i ‘lettori’ del secolo XIII, molto sensibili al linguaggio visivo, ma era anche uno strumento d’ostentazione e d’intimidazione. Al tempo di Federico, il potere faceva propaganda di sé con un linguaggio intessuto di teatralità, fatto di cortei, cerimonie, gesti rituali, insegne, stendardi, vesti, elmi, ma anche di costruzioni di scenografico impatto sull’osservatore”. Di qui non soltanto le esigenze d’imponenza e maestosità che il castello ancora evoca su chi lo vede al giorno d’oggi (anche da lontano!), ma anche la necessità di decorarlo nella maniera più acconcia, con marmi a profusione e un diffuso arredo di sculture.
Di tutto l’apparato scultoreo che un tempo ornava il castello, tuttavia, è oggi rimasto ben poco. Nel cortile sopravvive il frammento di una figura equestre, parte di un programma iconografico che faceva utilizzo di figure umane assunte “in funzione architettonica (mensole e ancora chiavi di volta), per giungere alla presentazione dell’immagine nella sua immediatezza e concretezza storica” (così Maria Stella Calò Mariani), come nel caso del cavaliere inserito in una nicchia del cortile. Della statua, probabilmente un ritratto equestre di Federico II stesso (una conferma giungerebbe dal fatto che è sormontata da un baldacchino con volta cuspidata: elemento tipico delle statue dei santi e degli imperatori delle cattedrali gotiche in Francia e in Germania, che peraltro potrebbe anche avvalorare l’ipotesi di un’esecuzione da attribuire a un maestro di origine nordica), rimane molto poco: parte del busto (la figura indossa una clamide), un braccio, un accenno di gamba, lacerti del capo. Molto poco, ma abbastanza per ricavarne l’impronta classicheggiante. È poi necessario segnalare una scultura di grande rilevanza, conservata però alla Pinacoteca “Corrado Giaquinto” di Bari: si tratta di una testa laureata rinvenuta nel 1928 in uno scavo a Castel del Monte e da allora detto anche “frammento Molajoli” in quanto il primo a studiarlo fu lo storico dell’arte Bruno Molajoli. Di questa testa non rimane niente dagli occhi in giù, ma anche in questo caso il poco che si vede (le ciocche di capelli, i rami d’alloro, le rughe della fronte, le orbite degli occhi molto incavate) dà ragione dell’importanza della scultura, da molti messa in relazione con alcuni dei capolavori della scultura federiciana, tra cui il ritratto acefalo dell’imperatore che adornava la porta di Capua. Inoltre, l’espressività del personaggio (intuibile dagli occhi) e i tratti realistici del volto hanno fatto nuovamente pensare a un’opera di cultura oltremontana. Non sappiamo chi sia il soggetto ritratto ma doveva trattarsi di un ritratto ufficiale (per quanto idealizzato), e di certo sappiamo che le teste laureate furono adottate nella numismatica imperiale a partire dal 1231. Presso il museo barese è conservato anche un frammentario busto d’imperatore trovato a Castel del Monte nel 1897, anch’esso probabilmente da riferire a uno scultore di area germanica. È stato tuttavia notato che l’ascendente classico di questo busto risulta molto attenuato: “il modello classico”, ha scritto Luisa Derosa nella scheda ufficiale dell’opera nel catalogo della Pinacoteca, “vive in questa scultura solo nelle sue valenze iconografiche più evidenti. La resa stilistico-formale, se confrontata direttamente con la scultura antica, è lontana da quelle fonti. A cominciare dal nodo del mantello, legato sulla spalla sinistra a formare un’ansa che lascia scoperta un’ampia parte della tunica sottostante, al profilo dello scollo netto e tagliente. Tali elementi, in contrasto con la tradizione classica, come è stato più volte ribadito dalla critica, trovano se mai maggiori punti di contatto con la scultura paleocristiana”.
Se delle sculture è rimasto poco, il discorso cambia per le decorazioni della struttura: possiamo ancora ammirare la ricchezza dei capitelli e delle chiavi di volta, che ci permettono di comprendere la cultura degli scultori che operarono in ambito federiciano. “Lo straordinario corredo scultoreo di Castel del Monte”, ha scritto Calò Mariani, “apre prospettive di respiro europeo. Alla plastica di Reims e della Sainte-Chapelle conducono le piante ispirate al vero di natura che adornano chiavi di volta e capitelli. La lezione altissima del gotico franco-renano si coglie nelle sculture figurate, non soltanto nelle chiavi di volta e nelle teste-mensola, ma anche nel frammento di testa laureata ora nella Pinacoteca Provinciale di Bari. Il rapporto della plastica federiciana con l’antico, che a Capua risponde ad un chiaro intento ideologico, a Castel del Monte e a Lagopesole si flette in un più libero linguaggio di fresca accezione gotica. Nell’architettura di Castel del Monte, l’eredità dell’antico riecheggia nell’intonazione solenne che il timpano conferisce al portale, nelle finestre sul cortile, cinte di serti di alloro e di collane di ovoli e fusarole, nell’opus reticulatum che rabesca le pareti di alcune sale del piano superiore; ma con maggiore evidenza si mostra nelle parti scultoree: vedi il busto acefalo e la testa frammentaria coronata di alloro”. Le chiavi di volta delle sale sono ornate con foglie di fico o di girasole, girali di acanto, tralci di vite o di edera, frutti di gelso (spesso, peraltro, le foglie sono in numero di otto, in accordo con il numero-chiave del castello) e contribuiscono quasi a creare un manuale di botanica, né mancano animali fantastici o maschere antropomorfe. Sui capitelli abbondano invece volti, telamoni, foglie di acanto, secondo una grande varietà tipica della scultura del tempo. Sulle mensole del portale sono poi presenti, come in molti edifici romanici e gotici, mensole con leoni: nel caso di Castel del Monte, i leoni sono eseguiti in breccia corallina.
Castel del Monte continuò a essere utilizzato come fortezza per lungo tempo: fu anche teatro, nel 1528, di una battaglia tra le forze francesi, guidate da Odet de Foix, e l’esercito imperiale, nell’ambito della Guerra della Lega di Cognac. In quell’occasione, Castel del Monte, utilizzato a scopo difensivo per impedire l’avanzata dei francesi verso Napoli, fu bombardato e pesantemente danneggiato. Il destino del castello cambiò ulteriormente nel 1552, quando il duca di Andria, Gonzalo II Fernández de Córdoba, che ne deteneva la proprietà, lo cedette a Fabrizio Carafa, conte di Ruvo, che ne fece luogo di residenza di piacere. Il castello rimase per lungo tempo proprietà dei Carafa, e nel 1686 doveva ancora conservare gran parte delle sue decorazioni: risale a quell’anno una lettera dell’abate Giovanni Battista Pacichelli nella quale Castel del Monte come un edificio “vaghissimo dentro”, fornito di “ornamenti di fuori che rendono maestoso quel corpo”, di un “nobilissimo atrio, e confacevole ad un magnifico palazzo, e ben munito castello, con le porte di puro, e fine metallo”: l’abate descriveva poi alcune sculture che oggi non si sono conservate. Fu durante il Settecento che Castel del Monte conobbe un periodo di abbandono, nel corso del quale avvenne la maggior parte delle spoliazioni che causarono l’asportazione di pressoché tutti gli apparati decorativi dell’edificio, e durante il quale il castello diventò meta e rifugio di contadini, pastori e briganti.
Lo stato di degrado in cui versava Castel del Monte a inizio Ottocento è ben testimoniato da un’eloquente stampa di Victor Baltard (Parigi, 1805 - 1874), realizzato nell’ambito di un imponente studio dei castelli svevi e normanni dell’Italia del sud commissionato, praticamente per pura passione, da Honoré-Théodoric-Paul-Joseph d’Albert, ottavo duca di Luynes (Parigi, 1802 - Roma, 1867), a un giovanissimo Jean-Luis Alphonse Huillard-Bréholles (Parigi, 1817 - 1871), storico, che si sarebbe occupato dei testi, e appunto a Baltard che avrebbe eseguito i disegni. Pubblicato a Parigi nel 1844 con il titolo Recherches sur le monuments et l’histoire des Normands et de la maison de Souabe dans l’Italie méridionale, lo studio era lungo 172 pagine ed era corredato di 35 illustrazioni (il nome di Baltard, peraltro, fu suggerito al duca di Luynes da Jean-Auguste-Dominique Ingres, che all’epoca era direttore dell’Académie de France di Roma, presso la quale il giovane architetto studiava al tempo). Huillard-Bréholles scriveva che “il marmo delle pareti e la pietra bianca delle panche sono stati spoliati per frammenti, e queste sale si trovano in uno deplorevole stato di degrado, ma le colonne e le finestre sono sufficienti a testimoniare l’antico splendore”. Nel disegno si vede bene quale fosse lo stato: il castello era parzialmente diroccato, le torri in rovina, la vegetazione a prendere il sopravvento sulla costruzione. La svolta avvenne solo nel 1876, quando i Carafa, che erano ancora i proprietarî del castello, lo vendettero allo Stato italiano per 25.000 lire: nel contratto stipulato tra le parti si legge che Castel del Monte era ormai un rudere (“essendoché l’annoso Castello di che trattasi, sì è un monumento storico artistico, è però inadatto e assolutamente incapace a qualsiasi uso, sì per il suo presente stato sì per la natura delle sue costruzioni e sì per il luogo solitario e disabitato in cui è posto”). Inoltre, come risulta evidente dalle foto dell’epoca, le murature esterne risultavano pesantemente disgregate e rovinate.
Cominciò allora una lunga stagione di restauri, che presero avvio nel 1879. Durante la prima fase, diretta dall’ingegner Francesco Sarlo e proseguita sino al 1885, si procedette con il consolidamento della struttura per evitare crolli, con l’impermeabilizzazione delle coperture e con l’aggiunta degli infissi alle finestre (che nel frattempo erano stati asportati). L’intervento di Sarlo non fu esente da successive critiche, perché furono eseguite anche integrazioni ex novo realizzate con pietra proveniente da una vicina cava (che si riteneva fosse quella da dove erano giunti i materiali originali). I lavori subirono uno stop di un quarantennio causa mancanza di fondi, e ripresero solo nel 1928, con i restauri diretti da Quintino Quagliati e Gino Chierici. Obiettivo dell’intervento fu quello di riportare Castel del Monte a condizioni simili a quelle che doveva avere nel Duecento, e per tal ragione anche i restauri degli anni Venti scatenarono polemiche, dal momento che continuò l’opera di integrazione con materiale nuovo, lavorato in maniera simile all’originale (sebbene in maniera equilibrata: la necessità era comunque ancora quella di consolidare la struttura e l’inserimento di elementi nuovi era visto come urgente per raggiungere tale scopo). Tra i principali critici vi fu il restauratore Carlo Ceschi (Alba, 1904 - Roma, 1973), che rivolse considerazioni aspre verso la prima fase dei lavori (i restauri del 1879-1885 furono secondo lui “condotti con così poca sensibilità artistica che ancor oggi, a distanza di quasi sessant’anni, creano un senso di disagio anche nel visitatore meno avvezzo a giudicare in materia”): proprio Ceschi, peraltro, fu incaricato di continuare i lavori nel 1933, appena divenuto soprintendente (i suoi interventi furono soprattutto di natura conservativa). L’aspetto odierno di Castel del Monte si deve ai restauri degli anni Sessanta, condotti da Francesco SchettiniRenato Chiurazzi e Riccardo Mola: Castel del Monte fu notevolmente “ringiovanito”, e il modo in cui furono condotti i lavori attirò nuove critiche. Anche con l’aspetto “nuovo”, tuttavia, i problemi non si erano arrestati, tanto che tra il 1975 e il 1981 si rese necessario un nuovo restauro, diretto da Giambattista Detommasi, per consolidare le cortine murarie, che ancora oggi sono oggetto di costante manutenzione in quanto soggette a degrado repentino.
Dal 1996, Castel del Monte fa parte del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, inserito con questa motivazione: “quando l’imperatore Federico II costruì questo castello vicino a Bari nel tredicesimo secolo, lo permeò di significati simbolici che si riflettono nel luogo, nella precisione matematica e astronomica della struttura e nella forma perfettamente regolare. Esempio unico di architettura medievale militare, Castel del Monte è un virtuoso insieme di elementi dell’antichità classica, dell’oriente islamico e del gotico dell’Europa cistercense”. Oggi, lo si può asserire senza troppi dubbî, Castel del Monte è una delle principali icone del patrimonio culturale nazionale, tanto da esser scelto per comparire su una delle monete italiane dell’euro (quella da un centesimo), è luogo che ha ispirato libri e film, oltre ad alimentare, come si è visto, le più vivaci fantasie su ciò che si faceva al suo interno all’epoca di Federico II, anche se, come ha giustamente scritto lo storico Franco Cardini, “l’unica ipotesi possibile su Castel del Monte è che sia, appunto, un castello”.
Una delle migliori e più raffinate descrizioni che siano mai state prodotte su Castel del Monte rimane quella del Pellegrino di Puglia di Cesare Brandi, che lo vide prima dei restauri degli anni Sessanta ne parlò in questi termini: “l’edificio, trasandato e mal tenuto all’interno come all’esterno, ha tuttavia una sua prepotenza a cui è difficile resistere. E sì che, di tutta la Puglia, non è questo il monumento a cui vadano le mie preferenze, anche se il più insigne, dopo il San Nicola. Ma davvero, come nella sua pianta d’una regolarità geometrica che fa pensare più ai cristalli di neve che all’opera dell’uomo, c’è un segreto incontro di civiltà diverse, in cui ognuna canta nella sua lingua, eppure la polifonia è perfetta. Si volle francese, e non che la civiltà architettonica francese in qualche parte non vi sia, ma la strada era lunga, dalla Francia alla Puglia: molte cose cambiavano per via, e già tante ne erano cambiate coi Normanni, che erano assai più francesi di Federigo II. Alla corte di Federigo tutto si mischiava e anche a Castel del Monte tutto si mischia. A dire il vero neanche i castelli Omayadi arrivano pari pari a congiungersi a Castel del Monte. I castelli Omayadi erano ancora la fattoria romana del deserto, esaltata a palazzo dai nuovi ricchi, e con lo speco dell’acqua proprio dove acqua non ce n’era. Qui a Castel del Monte, non è che non ci fosse più acqua che nel deserto, ma i bravi architetti di discendenza araba che curarono gli impianti idrici fecero un capolavoro. [...] Giurerei che Federigo II non dovette amare affatto l’architettura gotica: quel che c’è di gotico, a Castel del Monte, sono appena le volte e le costolature; ma non le finestre, che sono ancora quelle araba che ingioiellano le costruzioni normanne della Sicilia. E poi, basterebbero le mura sode, il gusto delle ampie superfici, ancora bizantine o romaniche, se proprio non vogliamo dire arabe: e invece lo dobbiamo dire, perché se c’è qualcosa a cui fa pensare Castel del Monte è alla porta fatimita del Cairo, è agli alti muri senza finestre che avvolgono la Moschea di Ibn Touloun. [...] Infine il correttivo dell’antichità classica: quel portale sormontato dal timpano, dove, naturalmente, le proporzioni classiche svaporano, ma acquistano un accento squisitamente romanzo, e, in quell’accento conservano l’etimo classico. Donde negli augustali d’oro, Federigo, con la clamide e redimito di alloro, se la fa da imperatore romano”.

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